Clò: «Crisi peggiore di quella degli anni ’70 ora dobbiamo affrancarci dal gas russo»

Alberto Clò, ex ministro dell’Industria, economista e accademico, analizza la crisi energetica aggravata dalla guerra in Ucraina: «Il mondo si è trovato ad affrontare la più grande crisi energetica da mezzo secolo a questa parte. A mio avviso più grave delle crisi petrolifere degli anni Settanta»
Piercarlo Fiumanò

Alberto Clò, ex ministro dell’Industria, economista e accademico, analizza la crisi energetica aggravata dalla guerra in Ucraina: «Il mondo si è trovato ad affrontare la più grande crisi energetica da mezzo secolo a questa parte. A mio avviso più grave delle crisi petrolifere degli anni Settanta».

Perchè più grave?

«Anche negli anni Settanta ci fu un esplosione dei prezzi. All’epoca non ci fu una penuria eccessiva di petrolio ma l’Occidente si scoprì all’improvviso vulnerabile perché aveva basato tutta la sua crescita economica sullo sfruttamento dell’oro nero e si trovò dipendente dai rifornimenti di greggio di un gruppo di Paesi ostili. Per questa ragione ci fu una reazione da parte dell’Occidente che ridusse molto la sua dipendenza dai Paesi Opec. La crisi scoppiata alla metà dello scorso anno è molto più grave perché determinata dalla scarsità fisica del metano. Di fronte a un aumento consistente della domanda, per riattivare la ripresa economica, ci siamo trovati a gestire una scarsità dell’offerta a causa della necessità abbandonare il carbone, soprattutto in Cina».

Paghiamo il prezzo della riconversione energetica?

«Da dieci anni a questa parte non investiamo più nell’industria mineraria non solo a causa della crisi del 2020, che ha fatto crollare i prezzi, ma perché abbiamo pensato che non fosse più necessario investire nell’estrazione di petrolio. Ci siamo illusi che il petrolio sarebbe diventata una risorsa marginale se avesse avuto successo la transizione energetica. Ma purtroppo questo modo di pensare si è rivelato ingiustificato se non folle».

Ma è sbagliato credere nell’impiego delle fonti alternative?

«Non possiamo affidarci all’eolico in assenza di vento. Questa grande crisi energetica si è tradotta in un aumento esponenziale dei prezzi, sullo sfondo di una competizione fra Asia e Europa fra chi sarebbe stato disposto a pagare di più. Il prezzo del gas era già balzato a 50-60 dollari a fine 2020 con un impatto enorme sulle bollette di famiglie e imprese. L’aumento del prezzo del gas ha contagiato poi quello dell’elettricità. Da quel momento gli aumenti sono stati impressionanti e in futuro ci costeranno decine di miliardi. Non è un caso che il governo abbia dovuto stanziare oltre 15 miliardi per contrastare l’aumento delle bollette».

Una crisi congiunturale?

«No. Questa è una crisi strutturale che nasce anche dal fatto che le compagnie petrolifere spinte dagli organismi internazionali hanno ridotto drasticamente gli investimenti. La domanda continuerà ad aumentare e l’offerta a scarseggiare fino a quando le imprese non ritorneranno a cercare nuovi giacimenti».

La crisi ucraina ha messo in allarme il mondo e non solo per la questione energetica. L’Italia dipende dal gas russo. È possibile uscire da questa dipendenza?

«Può essere utile il ricorso al gas liquefatto americano ma saremmo costretti a pagarlo molto. In questa situazione strutturalmente critica è arrivata la crisi ucraina. L’Italia è stata colpita più di altri Paesi dalla crisi energetica».

Il motivo?

«Perchè la nostra inflazione energetica è il doppio di quella francese e tedesca. Abbiamo commesso troppi errori».

Quali?

«Errori dovuti anche alle proteste di tipo ambientale e alle ambiguità dei vari governi. Abbiamo contrastato i rigassificatori, come è accaduto a Trieste, un progetto che è stato abbandonato. E oggi abbiamo visto quanto sarebbero necessari. Nel 1980 l’Italia aveva in campo dieci progetti di rigassificatori e ne abbiamo realizzato solo due: quello di Rovigo e un altro di dimensioni ridotte a Livorno. Poi ci sono state le contestazioni dei No-Tap, contro le infrastrutture che permettono al gas di arrivare sul nostro mercato. Oggi tutto è cambiato e vogliamo più rigassificatori e gasdotti».

Le fonti rinnovabili, come l’eolico, il solare e le biomasse, sono insufficienti?

«Le fonti rinnovabili sono importanti ma sono discontinue. Se non abbiamo il sole il fotovoltaico non può produrre. In assenza di vento non c’è eolico. Quando gli elementi naturali sono insufficienti o assenti ci dovrebbe essere sempre una centrale a gas pronta a funzionare. Per ovviare a questa discontinuità servono le tecnologie. Anche per l’utilizzo dell’idrogeno serviranno decenni».

E ora? La Russia fornisce il 40% del gas consumato in Europa...

«L’Italia e l’Europa si trovano di fronte a una situazione drammatica provocata dalla guerra in Ucraina. Fino ad oggi i flussi di gas sono rimasti abbastanza costanti. La Russia, con la faccia feroce dell’aggressore di un Paese libero, vuole anche mostrarsi come fornitore affidabile. La circostanza positiva è che stiamo uscendo dalla stagione invernale e questo significa che i consumi si ridurranno. Ma dobbiamo verificare nei prossimi mesi e la Russia manterrà inalterato il livello delle forniture oppure ci staccherà la spina. In quest’ultimo caso la situazione potrebbe diventare molto difficile. Una interruzione delle forniture sarebbe drammatica. Inoltre l’impatto dei prezzi dell’energia sui consumi si farà sentire sui bilanci di famiglie e imprese costringendoci a razionare i consumi di gas e elettricità».

Imprese siderurgiche sono state costrette a chiudere temporaneamente anche a Nordest a causa delle bollette stratosferiche. Come aiutare il sistema produttivo a reggere l’urto?

«Dobbiamo trovare il modo di non dipendere dal gas russo. Come? Imparando la lezione del passato. Negli anni Settanta l’Occidente ridusse la dipendenza energetica dall’Opec aumentando il peso di carbone e nucleare. In Italia gli incentivi alle rinnovabili non hanno creato una vera industria come in Germania».—

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