Così le cooperative del Nordest hanno attutito la grande crisi

La frenata è stata avvertita ma l’occupazione è cresciuta. E ora la sfida è digitale, come insegnano molti casi esteri

PADOVA. La proprietà cooperativa non è una mutazione genetica ma un altro e differente genoma d’impresa, capace di reinventare i modelli economici in nuove forme originali. Perché quando le persone hanno bisogno di qualcosa che il mercato non gli fornisce, possono sempre mettere insieme i loro soldi e costruire una cooperativa per colmare la lacuna. Con proprietà e responsabilità reali. Questo spiega perché, in questi lunghi anni di crisi, pur nelle difficoltà globali, il sistema cooperativo ha dimostrato una resilienza superiore di quello capitalistico. Perché sono sbocciati, o meglio si sono consolidati, nuovi modelli imprenditoriali come il workers buyout (l’acquisto di una società da parte dei dipendenti dell’impresa stessa) e perché oggi, nell’era del 4.0, è proprio dal sistema cooperativo che si sta originando una nuova visione dell’economia di rete. Una visione che ha in sé i germi della sharing economy (condivisione) e del crowfounding (finanziamento collettivo) ma anche quelli della qualità e la tutela dei dati. La sfida guarda dritta negli occhi ai giganti delle piattaforme digitali. Giganti come Amazon e Facebook.
Il futuro è già presente
In Italia questa rivoluzione ha da venire. Ma, assicura Stefano Zamagni docente all’Università di Bologna e massimo esperto della cooperazione, «il fenomeno è iniziato ed è un problema di libertà più che di efficienza: una grande coop digitale permette ai soci di essere utenti e proprietari dei propri dati ed è una garanzia contro le degenerazioni già in atto, perché le piattaforme digitali gestite da imprese capitalistichesfociano in monopoli». All’estero è già realtà. Uno dei casi di maggior successo è Stocksey United, una piattaforma fotografica canadese di proprietà dei suoi fotografi e dipendenti. Ma ci sono anche Up and Go o Midata, coop svizzera per l’uso e scambio di dati medici dei soci-pazienti che possono essere usati per ricerca medica e testi clinici. «In Italia contiamo 200 piattaforme digitali ma nessuna è cooperativa. Una lacuna da colmare» asserisce Zamagni.
La resilienza
Un’analisi Legacoop Veneto su un campione 207 coop che nel 2013 generavano 815 milioni di produzione, ha dimostrato che negli anni della crisi l’indice di probabilità di default di queste coop è diminuito nonostante un crollo del 12% della produzione, legata alla crisi dell’edilizia compensata in parte dal comparto servizi. Questo perché, recita la ricerca, «le coop si sono maggiormente consolidate, hanno meno crediti a lungo periodo e meno debito». L’analisi storica dei dati veneti vede tra 2013 e 2017 una leggera flessione del numero delle coop di fronte a un aumento dei soci (+5,8%) e degli addetti (+13%). E nel 2017 riprende anche la produzione. «Assicuriamo il 7% del Pil Veneto - spiega Ugo Campanaro ai vertici di Confcooperative Veneto - e la nostra occupazione, dalla crisi a oggi, cresce del 6%». «Durante la crisi con sforzi non di poco conto abbiamo resistito alla disoccupazione difendendo i lavoratori e andando in controtendenza; ci siamo preparati anche per riprendere la nostra attività di sviluppo, facendo leva su principi valoriali importanti: lavoro, innovazione, legalità, welfare e sostenibilità» spiega Enzo Gasparutti di Legacoop FVG. Il Friuli Venezia Giulia conta 887 coop per 377 mila soci e quasi 34 mila addetti per un valore della produzione di 2,3 miliardi che, con i 9,1 miliardi del Veneto fa un totale di 11,4 miliardi di euro. Il Veneto associa oggi 1.590 cooperative, 689.467 soci e 84 mila addetti.
«Nel suo complesso la cooperazione non ha subito i drammatici cali dell’occupazione che hanno invece colpito quasi tutti i settori negli ultimi anni: la cooperazione si è rivelata un reale strumento economico anti-ciclico», commenta il presidente di Confcooperative Fvg, Giuseppe Graffi Brunoro. Pesa sulle coop, la costante erosione dei margini in un comparto che, spesso, opera come fornitore di servizi o partner di altre imprese o di amministrazioni pubbliche. «In alcuni settori poi i salari incidono in modo preponderante: sono il 57,8% del fatturato tra le coop sociali e il 54,6% tra quelle di produzione e lavoro» ricorda Brunoro.
Le sfide aperte
Il futuro guarda a nuovi modelli come le cooperative di comunità, modello di innovazione sociale dove i cittadini sono produttori e fruitori di servizi: «Esiste già una proposta normativa ferma per la sostenibilità territoriale che va ripresa in mano e migliorata» chiede Adriano Rizzi di Legacoop Veneto. E tutti concordano nel chiedere che il Parlamento legiferi «a nostra tutela contro le coop illegali e furbe». «La questione dei centri di servizio e degli appalti illegali c’entra con le cooperative sociali ma non con le coop impresa. I noti casi illeciti sono successi - spiega Zamagni - perché nel 2012 Monti ha chiuso l’agenzia nazionale per il Terzo Settore che io ho presieduto e che in tanti anni ha agito fermando le organizzazioni criminali che assumevano la veste giuridica cooperativa truccando lo statuto. Più che una legge serve ripristinare l’agenzia che quegli statuti non ha mai validato» dice Zamagni.
Un’unica centrale
Il sistema ora attende il completamento del percorso avviato nel 2011 per la nascita di un’unica centrale cooperativa di tutte le coop aderenti a Legacoop, Agci e Confcooperative. In Veneto l’alleanza è stata firmata nel 2015. In Friuli-VG l’assemblea costitutiva del coordinamento unitario data 7 febbraio 2017. «È un percorso democratico che ha bisogno dei giusti tempi per evitare forzature e unire la cooperazione laica con quella cattolica» ricorda bene Adriano Rizzi ai vertici di Legacoop Veneto.
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