Crisi automotive. Di Loreto (Bain): «Altre difficoltà con le nuove regole Ue sulle emissioni»

L’esperto Gianluca Di Loreto, responsabile automotive di Bain: «Da gennaio 2025 drastica riduzione delle soglie consentite di CO2»

Maurizio Cescon

«I nodi sono venuti al pettine». Gianluca Di Loreto, responsabile automotive Italia per “Bain & Company”, una delle più importanti società di consulenza aziendale, non ci gira troppo attorno. La situazione dell’auto in Europa e ancora più in Italia, è pesante. E da gennaio 2025, con l’entrata in vigore del nuovo regolamento Ue che prevede la drastica riduzione delle emissioni di anidride carbonica per le vetture (al massimo 94 grammi di CO2), gli effetti sul mondo dell’automobile saranno evidenti. E la politica sarà chiamata a decisioni da far tremare i polsi, che segneranno il destino del settore per i prossimi 10 anni.

Dottor Di Loreto, Volkswagen chiude tre stabilimenti in Germania, Audi dismette la sua fabbrica a Bruxelles per il Suv elettrico. Cosa sta accadendo al comparto auto in Europa?

«Partiamo dalla fine della storia. Da gennaio, come è noto, cambiano i limiti di emissioni di CO2 per auto in Europa, che scendono sensibilmente rispetto agli attuali. Per rispettare le nuove soglie, ed evitare migliaia di multe per gli sforamenti, le case automobilistiche dovrebbero vendere almeno il 30% di auto full electric, cosa del tutto irrealistica».

Perché?

«C’è un piccolo dettaglio: nessuno vuole le elettriche. L’andamento del mercato in Italia tra settembre ed ottobre è impietoso, siamo al 4%, ma in realtà la metà di questa percentuale è fatta di km 0, vale a dire auto ferme in concessionaria o nei piazzali dei porti. In Europa la quota dell’elettrico è tra il 12 e il 18%, del tutto insufficiente, non c’è una curva di crescita rispetto alle attese dell’Ue. Perfino in Francia, dove si era arrivati al 14% del mercato, il 2024 chiuderà in flessione. L’obiettivo dell’Ue è immatricolare oltre il 30% di auto elettriche, ma il cliente non le vuole. Per far tornare i conti ed evitare le sanzioni per le emissioni, quindi, devo vendere meno auto termiche, di conseguenza chiudo gli stabilimenti. È pura matematica, non si scappa, siamo arrivati al redde rationem».

In questo quadro come è messa l’Italia?

«L’Italia è fanalino di coda. Il nostro Paese ha già vissuto i traumi che ora sta vivendo la Germania. Basti pensare che nel 2024 si produrranno metà delle auto rispetto a qualche anno fa. Se aggiungiamo l’ibrido al full electric, arriviamo al 7, 8% di quota, troppo poco. I tedeschi hanno annunciato le chiusure, ma qui c’è chi chiude, di fatto, anche senza dirlo».

Ma perché l’auto elettrica made in Europe non ha avuto l’appeal desiderato?

«Perché costa tantissimo, il consumatore ha detto no».

Le elettriche cinesi hanno prezzi più competitivi. È per questo che l’Ue ha fatto scattare dazi pesanti?

«Un’utilitaria elettrica cinese si compra con 16, 18 mila euro. L’Asia, non solo la Cina, è in grado di produrre quelle macchine a metà del prezzo europeo. I dazi del 20, 30% fanno il solletico al venditore cinese, ma rallenteranno l’invasione di vetture da Pechino, perché un conto è se una macchina costa il 50% in meno, un conto se costa il 10% in meno. Però i cinesi si stanno già “vendicando” con lo stop agli stabilimenti di auto o componenti in Europa. La battaglia è geopolitica, non economica».

Ma se davvero ci fosse l’invasione di macchine elettriche cinesi, il settore europeo sarebbe spalle al muro?

«Dal punto di vista dei produttori e dei lavoratori sarebbe la debacle. La produzione di utilitarie si sposterebbe completamente in Cina».

L’automotive è una delle colonne portanti dell’industria a Nord Est e non solo. Vede scossoni all’orizzonte?

«Le ricadute negative sarebbero importanti. Un’elettrica ha il 40% in meno di componenti, una ibrida il 20% in meno rispetto alle auto a motore termico. Il guaio è che la filiera è tutta termica. A Nord Est ci sono eccellenze, tutte queste società sono purtroppo sul lato sbagliato della storia, dovrebbero cambiare pelle, ma a volte è impossibile farlo. Oggi il 30, 40% delle componenti delle auto tedesche vengono del Nord Est dell’Italia, ma se si vira sull’elettrico i fornitori li troviamo in Cina, mica a Padova o a Udine».

Ma non bastano più nemmeno gli incentivi statali per dare una spinta al mercato dell’elettrico?

«Gli incentivi erano utili, ora non più. Se al cliente non piace il prodotto, lo puoi pure incentivare, ma alla fine non risolvi il problema. La rottura tra domanda e offerta sta togliendo al consumatore la possibilità di una mobilità a un prezzo ragionevole».

Ma se è controproducente rincorrere la Cina sul terreno dell’elettrico cosa possiamo fare di diverso?

«Vogliamo vincere la prossima sfida? Puntiamo su idrogeno o batterie allo stato solido. Ci vorranno anni, ma nel frattempo sopravviviamo con il motore termico di ultima generazione a basse emissioni».

L’Unione europea sembra aver intrapreso una strada diversa...

«Il tema è: cosa vogliamo in Europa? Fare guerra alla Cina o andare verso l’idrogeno? La scelta non compete ai governi nazionali, deve essere una decisione a livello di Ue».

Le regole sulla CO2 che entreranno in vigore a gennaio, potrebbero essere riviste?

«Onestamente non lo so. Alla fine anche la politica dovrebbe fare una riflessione. Il problema è che chi oggi è a capo della Commissione Ue, queste regole le ha fatte».

E alle aziende dell’indotto automobilistico che consiglio darebbe?

«Essere flessibili oggi è molto più importante che saper pianificare, fondamentale è essere snelli e veloci per farsi trovare pronti. E agli imprenditori suggerirei meno campanilismo e più unione, più coesione. Le nicchie, con il tempo, tendono a diventare loculi». 

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