Crisi del latte, Clal.it propone il tavolo di filiera a Verona

Prezzi in leggero rialzo, bene le esportazioni ma non per i formaggi veneti e friulani

VERONA - «Per un tavolo di filiera lattiero casearia Verona sarebbe la sede ideale, perché ha una tradizione e perché situata in posizione pressoché equidistante dai capoluoghi delle regioni più importanti per la produzione».

A dirlo è Angelo Rossi, fondatore del sito www.clal.it, portale di riferimento mondiale per il mercato lattiero caseario, al quale oggi è affiancato Teseo, dedicato ai mercati primari.

«È fondamentale, però, che l’interprofessione si rafforzi con un percorso di reciproca fiducia tra le parti – precisa Rossi – con gli operatori “attivi”, cioè produttori di latte, manager della trasformazione e distribuzione tesi a raggiungere risultati positivi sia per la propria azienda sia per il Made in Italy».

Le ultime quotazioni del latte sulla piazza di Verona (del 23 maggio) segnano un rimbalzo positivo sia per il latte crudo spot italiano (25,75 €/100 kg, +5,10%) sia per il latte intero spot pastorizzato di provenienza estera (25 €/100 kg, + 5,26 per cento), anche se le quotazioni sono inferiori del 18-21% rispetto ai valori di 12 mesi fa.

In ogni caso, il differenziale così poco marcato fra la materia prima italiana e quella estera dovrebbe favorire l’impiego di latte Made in Italy, grazie ai minori costi di trasporto.

In attesa che l’Unione europea adotti un nuovo piano salva-latte, che sarà discusso i prossimi 27-28 giugno, nel corso del Consiglio dei ministri agricoli dell’Ue - l’ultimo sotto la presidenza olandese – lo scenario mondiale indica un ulteriore aumento di produzione.

Rispetto all’anno precedente, infatti, le produzioni dei principali Paesi esportatori (Ue-28, Bielorussia, Usa, Nuova Zelanda, Australia, Bielorussia, Ucraina, Argentina, Cile, Uruguay, Turchia) nel periodo gennaio-aprile 2016 sono aumentate del 3,7 per cento su base tendenziale, toccando una produzione di 27.580 milioni di tonnellate nel solo mese di marzo.

Spostando l’attenzione sull’Europa, nel mese di marzo tutti i paesi dell’Ue-28, tranne Portogallo e Croazia, hanno messo a segno un aumento produttivo rispetto al marzo 2015, ultimo mese di applicazione del regime di quote latte e prima dell’esplosione delle produzioni comunitarie.

A registrare le maggiori performance produttive in termini quantitativi sono stati l’Irlanda (+32,77%, tanto che non stupisce che Ornua, la cooperativa più importante del Paese, con 14.000 allevatori conferenti e un fatturato di 1,8 miliardi di euro, abbia dichiarato di voler aumentare la produzione del 50% entro il 2020, per toccare i 7,4 miliardi di litri), seguita da Belgio (21,29%), Olanda (17,90%), Danimarca (8,77%), Germania (+6,90%), Francia (+1,81 per cento).

I dati italiani (gli unici ancora in attesa di conferma ufficiale) segnalano un incremento produttivo del 4,30% nel marzo 2016 su base tendenziale.

«Sarà interessante paragonare, non appena saranno disponibili, i valori di aprile e maggio di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2015, confrontando così le cifre dei mesi immediatamente liberi dalle quote latte, che hanno frenato le produzioni per tutto il primo trimestre del 2015», osserva Rossi.

A livello mondiale, intanto, due fenomeni potrebbero influire sulle quotazioni.

La Cina conferma la tendenza a importare burro, panna, formaggi, latte uht, preferendo i prodotti finiti alle polveri.

Dopo la contrazione dell’import di latte sfuso e confezionato, avvenuta nel mese di febbraio 2015, il trend è sempre andato aumentando, con punte del 125,5% lo scorso dicembre (rispetto allo stesso mese dell’anno precedente) e rimbalzi significativi anche fra gennaio e aprile 2016 (+70,3 per cento).

Si consolida la presenza di latte proveniente dalla Germania: con 20.270 tonnellate inviate in Cina lo scorso aprile, Berlino ha superato le esportazioni di Australia e Nuova Zelanda, che rispettivamente hanno inviato 5.286 e 7.169 tonnellate.

Si rafforza anche la Francia (10.410 tonnellate l’export di aprile) e persino i player spagnoli hanno conquistato uno spicchio di mercato, facendo leva su due elementi come tracciabilità e benessere animale, apprezzati ora anche dai consumatori della borghesia dell’ex Celeste Impero.

Nell’emisfero boreale, ci si attende una ripresa delle esportazioni dall’Argentina, complice il nuovo corso del presidente Mauricio Macri, fortemente improntato a sostenere il commercio internazionale di prodotti agroalimentari.

La Russia si conferma un paese importatore, mentre proseguono le politiche di rafforzamento della produzione interna, anche grazie al know how estero.

Secondo quanto riportato dalla rivista di settore Top Agrar, il gruppo Deutsche Milchkontor (Dmk) sarebbe vicino all’acquisizione di diverse aziende russe, per produrre formaggi nella Russia sud occidentale.

Sul fronte interno, invece, la Germania del Cancelliere Angela Merkel potrebbe mettere a disposizione dei produttori di latte un programma di aiuti da oltre 100 milioni di euro, con l’impegno da parte degli allevatori di ridurre le produzioni, unica strada - pare - al momento efficace per cercare di far risalire i prezzi di mercato.

Segnali positivi si colgono anche in Italia, con le esportazioni dei formaggi Made in Italy che lo scorso febbraio (ultimo dato disponibile, fonte: elaborazioni Clal.it) hanno segnato un +12,9% in volume, su base tendenziale.

A tirare la volata sono stati, in particolare, i formaggi freschi, fra cui mozzarella e ricotta (+26,6%), i formaggi grattugiati o in polvere (+18,7%), il provolone (+12,2%), seguiti da Grana Padano e Parmigiano Reggiano (+5,4%), Gorgonzola (+4,9 per cento).

In frenata, invece, le esportazioni di Asiago, Montasio, Ragusano, Caciocavallo (-5,5%), Pecorino e Fiore Sardo (-19,9 per cento).

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