Crollo delle ore lavorate, 50mila posti a rischio: la Cgil chiede un patto veneto anti-licenziamenti

Intervista a Christian Ferrari (Cgil Veneto): «Il 31 marzo scade lo stop del governo, Zaia convochi associazioni di categoria e sindacati per tutelare l’occupazione»
TOME' AG.FOTOFILM MONASTIER 12° CONGRESSO CGIL VENETO HOTEL V. FIORITA
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PADOVA. «Non ci stancheremo mai di ripeterlo, se l’andamento dei contagi non viene messo sotto controllo l’economia non può ripartire. E la situazione dei contagi oggi in Veneto è drammatica. Serve una stretta: se la Regione non vuole assumersi questa responsabilità lo faccia il governo, ma al Veneto serve un’estensione del periodo di zona rossa». Christian Ferrari, segretario della generale Cgil Veneto, invita al pragmatismo: «Qui si tratta di salvare vite umane e di evitare un avvitamento che porterebbe dritto all’esplosione di una vera e propria bomba sociale».

Ferrari, perché la zona rossa aiuterebbe l’economia veneta?

«Se non si mette sotto controllo l’emergenza sanitaria, l’economia non può ripartire. Rischiamo di essere ancora alle prese con il contenimento del virus nel momento in cui vanno poste le basi per la ripresa. La situazione ora è fuori controllo, serve una stretta ovviamente con i necessari sostegni economici».

Significherebbe non riaprire le scuole dalla seconda media in su.

«La comunità scolastica ha offerto fin qui una prova straordinaria: aule sostanzialmente aperte e contenimento della diffusione dei contagi. Ma la riapertura va valutata alla luce dei dati epidemiologici di inizio gennaio, bisogna ripartire in totale sicurezza».

Con ulteriori restrizioni non si rischia di aprire le porte allo stallo totale?

«Dobbiamo contenere i contagi, altrimenti nonostante il vaccino lo stallo sarà irreversibile a fronte di una situazione sociale ed economica che già ora è preoccupante».

Ovvero?

«Il prossimo 31 marzo scade il blocco dei licenziamenti e senza una proroga della misura ci troveremo a dover fare i conti con una crisi senza precedenti. Stime prudenziali indicano in 50 mila i posti di lavoro a rischio in regione. Uno tsunami che potrebbe avere anche un impatto maggiore. Il monte ore lavorate in Veneto nei primi 11 mesi di quest’anno, infatti, ha visto un crollo del 21% rispetto al 2019. Il tasso di disoccupazione regionale, dal 5,1% del 2019, è ora al 6,4% (terzo trimestre 2020). Per quanto riguarda il dato amministrativo delle dichiarazioni di disponibilità ricevute dai Centri per l’impiego siamo a 110.000. E sono numeri che scontano l’effetto positivo dei provvedimenti straordinari di difesa del lavoro varati dal governo».

Provvedimenti che non è possibile pensare di prorogare all’infinito, no?

«Misure emergenziali, certo. Ma il blocco dei licenziamenti va prolungato. Il 2021 deve essere l’anno della resistenza, non dei licenziamenti. E la politica, di fronte a questo scenario, non può essere inerme o fatalista: la coesione territoriale è a rischio. La difesa occupazionale è funzionale al rilancio, un crollo traumatico produrrebbe una caduta dei consumi che ci farebbe sprofondare in una crisi ancora più dura».

Bisognerebbe guardare anche oltre all’emergenza.

«Ma è indispensabile difendere i posti di lavoro ed evitare il crollo dell’economia regionale per consolidare la ripresa e costruire poi un modello di sviluppo sostenibile: il binomio export e turismo non sta più in piedi».

Le vostre proposte quali sono?

«Come già chiesto al presidente della Regione 15 giorni fa, va convocato un tavolo con organizzazioni sindacali e associazioni datoriali per governare l’emergenza e i processi di ristrutturazione. La Regione si impegni su questo e promuova il confronto. Alle imprese chiediamo un atteggiamento di grande responsabilità sociale: no a ristrutturazioni gestite unilateralmente».

Questo tavolo, concretamente, cosa dovrebbe produrre?

«Venga sottoscritto un impegno prioritario per salvaguardia dei posti di lavoro, attraverso, ad esempio, l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che non verranno meno il 31 marzo. Rafforziamo politiche e soluzioni condivise per gestire crisi aziendali».

E la Regione come rientra in questa partita?

«Guardi, pochi giorni fa l’Emilia Romagna ha promosso e sottoscritto con 55 soggetti diversi un patto per il lavoro. Tutte le parti si sono impegnate per la salvaguardia dell’occupazione. C’è la firma della Confindustria e degli artigiani. L’Emilia Romagna si è assunta una responsabilità politica e sociale, diversamente ci si assume l’onore di far esplodere una bomba sociale. E poi vanno condivisi anche i progetti per il futuro».

Cosa imputate alla Regione?

«Sul fronte della programmazione economica la politica del Veneto è spesso rinunciataria. Andare avanti erogando soldi a pioggia e senza vincoli per le imprese non può più funzionare. Serve un forte ruolo di programmazione e intervento pubblico. Il Recovery plan regionale rappresenta l’esempio di quello che non va fatto: è una minestra riscaldata con progetti incompiuti e falliti».

Quali sono le priorità da perseguire secondo voi?

«Reindustrializzazione; territorio e ambiente; infrastrutture pubblico-sociali a partire da sanità e scuole; turismo e mobilità sostenibile».

La vostra proposta di agenzia unica per lo sviluppo regionale è già stata bocciata da Confindustria Veneto.

«Il problema che abbiamo evidenziato non è che mancano agenzie regionali, ma che mancano politiche regionali. E oltre alle risorse Ue servono anche quelle regionali, altro che Veneto tax free».

Sta dicendo che Zaia dovrebbe alzare la pressione fiscale?

«Usciamo da un equivoco: l’aliquota Irpef unica non rispetta il principio di equità e progressività. Con il populismo fiscale si finiscono per privilegiare i più ricchi e penalizzare la stragrande maggioranza dei veneti che si ritrova senza politiche regionali di sostegno sociale ed economico». —

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