Da filatura a fucina di futuri architetti: ecco com’è rinato l’ex Cotonificio di Venezia, oggi sede dello Iuav
Restaurato dallo studio veneziano di Gino Valle, l’edificio principale ospita fin dagli anni ’80 una parte considerevole dell’università: aule didattiche, l’Archivio Progetti, lo spazio espositivo “Gino Valle” e ArTec

VENEZIA. Dalla filatura del cotone ai laboratori degli architetti del futuro. L’ex Cotonificio di Venezia, a Santa Marta, ospita oggi una delle principali sedi dello Iuav (Istituto Universitario di Architettura di Venezia).
Laddove fino agli anni ’60 era un continuo brulicare di operai, oggi negli stessi spazi si incrociano ogni giorno centinaia e centinaia di studenti in arrivo da tutto il Veneto e dal resto d’Italia.
Proprio l’ex Cotonificio adiacente alla Stazione Marittima è un altro esempio di archeologia industriale di una città che a cavallo tra ‘800 e ‘900 rappresentava il cuore imprenditoriale del nord Italia. E che da decenni ha ormai deciso di riconvertire fabbriche e manifatture in condomìni e centri universitari d’eccellenza.

Segno dei tempi che corrono, di un passato industriale ormai andato. Qui a Santa Marta, così come in tanti altri punti di Venezia, però, la capacità di recupero degli spazi ha fatto sì che le strutture in mattone sorte nel diciannovesimo secolo non restassero contenitori vuoti e privi di vita.
La storia dell’ex cotonificio di Santa Marta ha inizio nel 1882 quando la città di Venezia cede l’area di sua proprietà dell’antica spiaggia di Santa Marta e alcune aree stradali per un totale di circa sei ettari alla Società Anonima Cotonificio Veneziano per la costruzione di un primo opificio. La manodopera impiegata era prevalentemente femminile (697 donne su un totale di 920 addetti).

L’edificio viene inaugurato nel 1883. L’anno precedente, per iniziativa del barone Eugenio Cantoni e del cavaliere Carlo Moschini, si era costituita una società che aveva lo scopo di esercitare a Venezia la filatura del cotone. Nel 1916, nel bel mezzo della prima guerra mondiale, l’edificio viene colpito in pieno durante un’incursione aerea nemica. Una bomba ne provoca l’esplosione e il crollo. A guerra conclusa, il Cotonificio viene ricostruito e la produzione riprende regolarmente.

Anzi, si espande grazie soprattutto alla necessità, durante la seconda guerra mondiale, di produrre divise militari in filo di canapa, rayon e cotone. Prospero anche durante il boom economico, dagli anni ’60 e ’70 diventa una realtà di secondaria importanza. Proprio in quegli anni, lo stabilimento entra a far parte del Cotonificio Vittorio Olcese. Di lì a breve, però, chiude definitivamente.
Restaurato dallo studio veneziano di Gino Valle, l’edificio principale ospita fin dagli anni ’80 una parte considerevole dell’università: aule didattiche, l’Archivio Progetti, lo spazio espositivo “Gino Valle” e ArTec – archivio delle tecniche e dei materiali per l’architettura e il disegno industriale.

La parte riservata all’archivio comprende una sala studio con nove posti di consultazione, la sala espositiva, un ufficio e un deposito. Nella sala espositiva è allestita in permanenza una mostra di modelli che appartengono alla raccolta dell’archivio e vengono organizzate mostre temporanee, nelle quali si espongono documenti originali provenienti dai fondi.
Ma a chiunque sia passato lungo il canale della Giudecca non sarà sfuggita la grande installazione in legno sul tetto del Cotonificio. Si tratta delle “Ali” di Massimo Scolasti, realizzata su invito di Francesco Dal Co, direttore della Sezione Architettura alla Biennale del 1991. Simbolo di libertà e leggerezza, l’installazione è ormai diventata tutt’uno con la facoltà di architettura veneziana.
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