Dainese: "La natura è maestra e io innovo copiandola"
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VICENZA. Una matita, un foglio bianco e l'idea diventa disegno: uno schizzo schematico composto da linee nette e poche note a lato. Si parte da qui; e si arriva, non sempre, al prodotto. Nel mezzo, una corsa ad ostacoli dove l'esploratore, che ha avuto il guizzo, non può riuscire da solo. Ha bisogno di una squadra. La differenza, non la fanno le risorse economiche ma la volontà di «creare qualcosa di straordinario».
Non tutte le vite sono speciali. Quella di Lino Dainese lo è. Ha 67 anni e ancora troppa fame di futuro: «La visione è immaginare qualcosa che non esiste ancora ma potrebbe migliorare il modo di vivere». Come un’artista che non ha paura. Neanche quella di vendere l’azienda per seguire una nuova strada: quella dell'innovazione che oggi si declina in D-Air Lab, una start up di cui Lino è proprietario all’80%. Il 20% è di Investcorp, il fondo del Bahrain che ha acquisito nel 2014 l’80% di Dainese.
Scappato dal posto fisso
Il padre lavorava in banca e, negli anni 70, i figli che ambivano al posto fisso, avevano la possibilità di entrare nello stesso istituto del genitore. Lino studia ragioneria, ma si ribella alla «gabbia». «Ho sempre avuto il dna dell’imprenditore – racconta –. Nel 1968, durante le Olimpiadi in Messico, a neanche vent’anni, creai una serie di t-shirt con la stampa di una moneta azteca. Fu un successo».
Poi il viaggio in Vespa a Londra dove Lino incontra per la prima volta le grosse moto da strada. Osserva l’abbigliamento dei bikers, torna in Italia, e cuce da solo i suoi primi pantaloni da cross. Quella fu l’intuizione; a soli 23 anni, in un sottoscala, fece nascere Dainese. «Conservo ancora il cartamodello di quel prototipo. Con il vecchio casco che era un Agv (azienda che poi rileverà nel 2007, ndr) e la prima tuta prodotta per Giacomo Agostini. Da allora abbiamo depositato 130 brevetti. Per me fare l’inventore è un'attività che precede quella dell'imprenditore»: l'invenzione è il fare artigiano nobilitato da un pensiero e dalle tecnologie. Oggi Dainese ha compiuto 45 anni e ogni prodotto inventato è una pietra miliare e la storia dell'azienda stessa: tuta, paraschiena, protezione spalla-gomiti, guanti in carbonio, saponetta alle ginocchia. E il futuro non ha limiti, come dimostra la recente caduta dello sciatore Matthias Mayer, salvato proprio dalla tecnologia Dainese.
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L’ispirazione
«Guardo la natura e la traduco in prodotto», spiega Lino. Ed è così che è nato nel 1978 il guscio paraschiena, copiato dal carapace di un armadillo (il prototipo è esposto al Moma a New York). La natura resta il miglior esempio di coniugazione peso-protezione ed ergonomia. Ma un'altra fonte di ispirazione è l'arte, contemporanea o del passato: come quella degli armaioli. «Perché nelle armature antiche c'è un lavoro straordinario attorno al corpo». Lino ha studiato le armerie reali di Torino e Milano e quelle del Metropolitan Museum di New York. Come dire che molte intuizioni, vanno solo riscoperte.
La tecnologia D-Air
L'idea di un airbag nasce nel 1996 facendo sub. Nel 1997 la prima prova sul casco non funziona. Nel 2000 arriva il prototipo. Ma per la vendita sul mercato bisogna aspettare dieci anni, nel 2011. «È una questione di algoritmo». Grazie a un sensore nella moto è possibile mandare impulsi wireless al giubbino, azionando gli air-bag in 40 millisecondi dall’impatto. Un mix di capacità sartoriale, ergonomia, meccanica, elettronica e pneumatica. La tecnologia funziona e viene estesa anche al mondo dello sci, mountain bike e non solo. «La stessa strategia la stiamo applicando anche in campo militare per attutire i colpi dei blindati anti-mina».
Su Marte con le tute Dainese
Dainese è un'azienda strategica anche per il Mit di Boston «perché gli risolviamo problemi sullo spazio» ammette Dainese. Tre i progetti nati con il Massachusets Institute of technology per la Nasa; e la deadline segna 2030. Dalle bio-tute a pressurizzazione meccanica, alle diverse protezioni per gli astronauti, fino alla skin-suite: una nuova tuta capace di ricreare le condizioni di microgravità senza traumi. Quest’ultima idea è molto più di un prototipo: una sfida in capo alla nuova D-Air Lab sulla mobilità del futuro.
Lo scopo di tutto, da sempre, è salvare vite. «In azienda custodiamo un contenitore colmo di lettere di tutte le persone che si sono salvate grazie al nostro abbigliamento. E la nostra forza è un archivio di mille tute usate che analizziamo per migliorare. «Creare vestiti intelligenti significa far reagire un’applicazione in pochi secondi e salvare una vita più velocemente di un battito di ciglia». E quell'archivio che oggi è a Molvena, si sposterà a Vicenza e diventerà presto un museo aperto a chiunque.
Non solo moto
«Ho fatto un passo indietro per farne dieci in avanti» ha dichiarato Lino cedendo la sua azienda per fondarne una nuova di fronte al suo Cubo nero. D-Air Lab si occupa di innovazione discontinua e si differenzia dalla D-Tec che è all’interno di Dainese e si occupa di innovazione continua. La discontinuità richiede tempi lunghi e isolamento dalla gestione aziendale. Per questo Lino ha lasciato. D-Air Lab è un settore “puzzola”, per tradurre il parallelo americano degli «skunk workers», la divisione ufficiale della Lockheed Martin per i velivoli sperimentali. Occupa cinque persone e sul tavolo ci sono sei progetti, tutti top secret. Tempo fa, prima di vendere Dainese, aveva anticipato che il suo sogno era quello di occuparsi della vita quotidiana, allargando la tecnologia D-Air ai campi del sociale: dalle tute per attutire le cadute degli anziani agli airbag nei sedili degli scuolabus per la sicurezza dei bambini. La sfida è qui.
@eleonoravallin
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