Dalle crociere al vino: la Cina vuole Italian-style

Andrea Furgeri, già capo della Divisione analisi economica della sede di Trieste della Banca d’Italia, da settembre 2021 è rappresentante dell’istituto di via Nazionale all’Ambasciata d’Italia a Pechino, da dove riflette su quanto sta accadendo all’economia cinese

Piercarlo Fiumanò
epa09041913 People wearing protective face masks walk at Qianmen commercial street amid coronavirus pandemic in Beijing, China, 28 February 2021. China's economy grew by 2.3 per cent year-on-year in 2020, as the country's gross domestic product stood at 101.6 trillion yuan (12.98 trillion euros) last year, according to the National Bureau of Statistics. EPA/WU HONG
epa09041913 People wearing protective face masks walk at Qianmen commercial street amid coronavirus pandemic in Beijing, China, 28 February 2021. China's economy grew by 2.3 per cent year-on-year in 2020, as the country's gross domestic product stood at 101.6 trillion yuan (12.98 trillion euros) last year, according to the National Bureau of Statistics. EPA/WU HONG

TRIESTE. Andrea Furgeri, già a capo della Divisione analisi economica della sede di Trieste della Banca d’Italia, da settembre 2021 è rappresentante dell’istituto di via Nazionale all’Ambasciata d’Italia a Pechino. Da qui riflette su quanto sta accadendo all’economia cinese.

Furgeri, la Cina resta un motore dell’economia mondiale? Quale è l’impatto della pandemia?

«La Cina continua a correre, nonostante un indubbio rallentamento in corso. I mutamenti che altrove richiederebbero un decennio qui avvengono in un paio di anni al massimo. Un’intensità di sviluppo che chiaramente rischia di lasciare indietro l’Europa, ancora immersa nell’emergenza sanitaria. Il Paese può sembrare irriconoscibile a chi non è più tornato dallo scoppio della pandemia. La Cina ha chiuso le frontiere nel 2020: chi entra è sottoposto a 21 giorni e 6 tamponi in quarantena. Ma di fiduciario non c’è nulla: la quarantena è in una struttura del governo con sensori alle porte. Per tutti. La trasformazione degli aeroporti, ormai deserti, in succursali di corsie d’ospedale ha permesso di fare barriera al virus. La chiusura della Cina rende difficile ora costruire nuovi rapporti imprenditoriali e finanziari, ma l’Italia resta interlocutore interessante per Pechino».

Andrea Furgeri
Andrea Furgeri

A Trieste non c’è stato il ritorno di fiamma cinese di cui si parlava un paio d’anni fa ma al contrario il porto è tornato a collocarsi nell’area della Mitteleuropa. E tutto ciò grazie agli investimenti degli stessi tedeschi di Hhla nella Piattaforma logistica. Pechino secondo lei guarda ancora a Trieste?

«Il Porto di Trieste è questione chiusa, e credo senza rancore. Trieste ha una collocazione davvero molto strategica nel cuore dell’Europa che nemmeno i cinesi sottovalutavano. I tedeschi sono poi i principali partner della Cina, e quindi l’accordo con Amburgo ha in un certo senso la benedizione di Pechino. La manifattura cinese può contare sul Pireo, e sui collegamenti ferroviari con l’Europa centrale: da lì arriveranno forse i pannelli solari anche per la nostra transizione energetica. Su questo tema Pechino ha recentemente dichiarato che raggiungerà il picco di emissioni carboniche nel 2030, e ha riaperto decine di miniere di carbone. La proposta della Commissione Europea di introdurre un sistema di dazi impliciti per prodotti realizzati con energie sporche potrebbe penalizzare soprattutto la Cina. Questi effetti potrebbero rientrare in un più generale riaggiustamento, su base regionale, delle catene produttive internazionali».

Qual è il nuovo scenario globale e i rapporti di forza fra Cina, Usa e Europa?

«A livello globale si confrontano due superpotenze: gli Stati Uniti, con la loro democrazia e il primato tecnologico, e la Cina, formata da una popolazione istruita, organizzata, ed estremamente determinata, con un senso di missione ben preciso, quello affidatole dal Presidente Xi. Mentre gli Stati Uniti beneficiano di un’indubbia egemonia globale, cioè di una “superiorità” che è loro riconosciuta da molti altri Paesi, la Cina punta all’hard power: imporre i propri standard tecnologici nel Fintech, nel 5G, nelle batterie per veicoli elettrici ecc. Ma è un confronto duro, teso, e che rischia ovviamente di lasciare la Cina senza veri alleati. Occorre capire le ragioni culturali di questi approcci».

Pechino
Pechino

E dal punto di vista dei mercati?

«Cruciale sarà l’imminente introduzione della valuta digitale di Banca centrale: la People’s Bank of China è capofila tra le grandi autorità monetarie a lanciare questa iniziativa. Gli effetti sono al momento imprevedibili: il contante potrebbe scomparire definitivamente, e il credito essere molto più legato alla Banca centrale con un ruolo sempre minore degli intermediari. Soggetti terzi, come Alipay o Tencent, saranno totalmente tagliati fuori. Tutto l’Eurosistema segue con attenzione gli eventi».

Su cosa si sta sviluppando la domanda di beni cinesi verso l’Europa mentre la pandemia impone di nuovo la chiusura delle frontiere?

«In un contesto in cui le persone non entrano pressoché più in Cina, continuano a pieno ritmo gli scambi di beni. Le vendite in Cina rappresentano il 3% delle esportazioni italiane ma il potenziale inesplorato è enorme. I cinesi non viaggiano più all’estero ma desiderano “pezzi” di Italia a casa loro: è così per la forte crescita di interesse per la cantieristica navale privata, yacht italiani con cui fare vacanze nel Mar cinese. I dazi posti sui prodotti australiani, in primo luogo il vino, hanno aperto la corsa ad approvvigionamenti da Francia e Italia. La classe media cinese apprezza mangiare, vestire, guidare e abitare italiano; le imprese locali conoscono la perfezione dei prodotti italiani».

Quali sono i settori industriali di cui l’economia cinese ha bisogno e che possono attivare il nostro export?

«Gli esperti quando parlano di “inefficienza dinamica” del nostro modello di esportazione verso la Cina intendono dire che, con l’eccezione dell’agroalimentare che rappresenta un capitolo a sé, la domanda cinese sarà sempre meno orientata su prodotti artigianali, mobili e arredo ad esempio sono ormai realizzati finemente in loco, a beneficio di settori science-based, meccatronica, robotica, intelligenza artificiale ecc.

E per il Friuli Venezia Giulia?

Evidente che per il Friuli Venezia Giulia sia uno scenario che non possa essere ignorato, e rispetto al quale il tessuto economico regionale sia ben posizionato. La regione è conosciuta in Cina per i suoi big players e non solo: deve essere motivo di orgoglio. Le piccole e medie aziende italiane in Cina hanno lavorato tradizionalmente, e con successo, secondo un approccio local-to-local, cioè realizzando lì per il mercato locale: qualche aggiustamento sarà inevitabile».

Previsioni per il nuovo anno?

«Nel 2022 potrebbero esserci importanti sviluppi per i rapporti Italia-Cina: un business Forum dovrebbe tenersi ad aprile, e potrebbe riprendere il dialogo finanziario tra le nostre autorità. Ciò al fine di accrescere le opportunità commerciali e di investimenti amichevoli tra noi e la Cina». 

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