Del Vecchio sogna un capolavoro tricolore: le Generali sul tetto d'Europa

Il cavalier Leonardo Del Vecchio ha lo stigma del vincente e ama i disegni grandiosi. Prova gusto nell’infrangere i record. Quando Luxottica ha iniziato a correre come una furia, diversi anni fa, tutti si aspettavano uno stop prima o poi. Non si è mai fermata. Ora è il numero uno al mondo.
E oggi Del Vecchio, è scontato dirlo, ha un progetto monumentale. E cosa c’è di più monumentale che rifare di Generali la più bella compagnia di assicurazioni in Europa? Bisogna fare un passo indietro. Non si può comprendere chi sia colui che ha dato vita a una delle più straordinarie storie industriali di questo paese se non si capisce da dove sia partito. Un uomo che ha fatto dell’imperativo «lavoro, lavoro e ancora lavoro» la cifra del suo successo. Insieme a «mani, testa e pazienza».
Del Vecchio, lo sanno tutti, e questo non fa che accrescerne il mito, è cresciuto in orfanotrofio. La madre non poteva mantenerlo ed è costretta dalle circostanze a portarlo al collegio milanese dei Martinitt. Il giovane Leonardo ci resta fino alla licenza media.
Poi inizia a lavorare mentre apprende ai corsi serali dell’Accademia di Brera design e incisione. Con grande iniziativa si trasferisce nel Bellunese, dove c’erano incentivi per le attività imprenditoriali.

L’origine del sogno
Nel 1961, 58 anni fa, fonda la Luxottica. Comincia come terzista, è stato anche fornitore di Safilo (come noto al fato l’ironia non manca). Dieci anni dopo presenta al Mido il suo primo paio di occhiali a marchio Luxottica. Non si fermerà più.
Le acquisizioni prima in Italia, poi negli Stati Uniti, entra nel mondo del retail, crea un sodalizio con Giorgio Armani, acquisisce Vogue, Persol e poi Ray Ban, e negozi: prima gli ottici Lens Craft, Sunglass Hut e ancora catene in tutto il mondo. Contemporaneamente arrivano Chanel e Bulgari, Prada, Versace, fino ad un portafoglio di circa 50 marchi.
Una cavalcata a suon di shopping societario e accordi di licenza, per creare su scala mondiale quella che fu la sua prima intuizione di allora: integrare tutto, verticalmente, da terzista a produttore di occhiali completi. Da produttore di occhiali a licenziatario di marchi, da licenziatario a brand globali propri, da distributore a dettagliante, dalle montature alle lenti, dalle ottiche ai negozi. Su fino in cima con la fusione con i francesi di Essilor e la nascita del gigante numero uno al mondo: EssiLux .
The Big Lens, come lo ha soprannominato The Guardian, è l’epopea imprenditoriale di un uomo, con un’intelligenza fuori dal comune e un senso per il business incredibile. Lo chiamano The genius, non per fargli un complimento, ma perché non c’è un’altra cifra per definire un uomo che nel business, dove sa essere molto spietato, non ha mai finora lasciato un negoziato da perdente.
EssiLux nel 2021, alla scadenza dei patti parasociali che regolano l’attuale governance oggi divisa 50-50 italiani e francesi, diverrà un’azienda con un solo importante azionista: la Delfin, che comanderà. Ma è da questa visione industriale che parte tutto.
Luxottica non è solo una grande azienda, è un apripista nelle relazioni industriali, ha dato vita ai piani di welfare aziendali più innovativi. Ha voluto rendersi appetibile all’esterno per essere in grado di attrarre i più bravi, ma lo ha fatto anche con un senso di restituzione di ricchezza. Il giving back è stato il senso dell’agire di Del Vecchio. E oggi l’imprenditore sente che qualcosa della sua fortuna vada restituita anche al paese.

Lo schema Del Vecchio
Del Vecchio con la sua finanziaria Delfin ha sempre seguito il medesimo schema quando si trattava di affari. Scalare il mercato con le acquisizioni, che si tratti di settori, di geografia o di pezzi complementari del disegno di business che ha nella testa.
Fece quello che è stato fatto con EssiLux, molto prima con Foncièrs des Regions (Fdr), un disegno di acquisizione in una delle terre più ostili all’avanzata dei capitali esteri: la Francia. L’unione tra Fdr e Delfin avvenne nel 2007, con il conferimento del 35% Beni Stabili (detenuto dalla holding dell’imprenditore) nella Siic transalpina.
Ci fu un’offerta pubblica di scambio, al tempo qualcuno pensò che fosse terminata l’avventura immobiliare di Del Vecchio. Non accorgendosi che invece era solo l’incipit di un progetto molto più ambizioso. Del Vecchio e il deus ex machina di Fdr Ruggeri, dopo essersi legati in un patto di sindacato con scadenza 2012, iniziano a scontrarsi sulla gestione, sulla politica di distribuzione dei dividendi.
E così, mentre la crisi avanza, alla ritirata del francese fa da contraltare la salita dell’italiano, sottoscrivendo un aumento di capitale cui invece Ruggeri non può aderire per mancanza di liquidi. Del Vecchio rastrella titoli e passa dal 18% a oltre il 29%. Ruggeri abbandona la scena. Successivamente Beni Stabili e Fonciers des Regions sono riuniti in un grande gruppo immobiliare: Covivio.
Quotato a Milano e Parigi, tra i primi due in Europa, 23 miliardi di asset in portafoglio, 1 miliardo di ricavi e 1,9 miliardi di investimenti nelle principali città europee. Non stupisce alla luce di questi numeri l’ingresso della sua Delfin nel Progetto Italia: è stato uno dei sottoscrittori dell’aumento di capitale da 600 milioni (ponendolo sotto il 2% di Salini-Impregilo).
È per lo stesso schema di sostegno al Paese che entrò in Acciaitalia per rilevare l’Ilva commissariata, pronto con Cdp anche a rilanciare sul valore dell’offerta per vincere su ArcelorMittal. Oggi qualcuno si starà sgranocchiando i gomiti a pensare come sarebbe andata se si fosse accettato quel rilancio.

Il leone
E veniamo all’attualità. Del Vecchio con la holding Delfin ha oggi il 9,9% di Mediobanca. Attraverso Piazzetta Cuccia vuole dare impulso a un grande disegno: la creazione di un campione della finanza, indipendente, di matrice italiana.
Il Leone di Trieste ha un asset under management di 632 miliardi di euro. È il primo assicuratore in Europa per raccolta premi, ma in Borsa vale la metà di Axa e un terzo di Allianz. Non ha senso faccia acquisizioni, anche perché come dimostra l’aquila di Monaco da comprare c’è ben poco.
Ha invece senso che Generali (di cui Delfin tiene direttamente circa il 5%) diventi un campione nazionale della finanza, di stazza globale. Però serve che Mediobanca e altri azionisti italiani sostengano, anche con iniezioni di risorse, la compagnia.
Del Vecchio è l’uomo più ricco d’Italia, uno dei primi 40 miliardari al mondo. Ha circa 25 miliardi di patrimonio. E un sogno monumentale. Il resto sono passaggi, più o meno duri da superare, per un eccellente scalatore. —
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