Dieci anni dalla marcia di protesta degli industriali contro il Governo: cosa è cambiato?
Parla Alessandro Vardanega, allora presidente di Unindustria Treviso: «Era stato un messaggio forte in un momento di grande difficoltà. Come oggi, ma abbiamo tutto per superarlo»
TREVISO. In testa al gruppo c'erano Alessandro Vardanega, Andrea Tomat ed Emma Marcegaglia, ovvero i presidenti confindustriali di Treviso, Veneto e nazionale. Dietro, quasi tremila capitani d’industria. Era stata definita la marcia del «disagio», quello di essere imprenditori in un Paese che si dimostra(va?) nemico: troppa burocrazia, ipertrofia legislativa, costi superflui, competitività di sistema a picco. Sono passati dieci anni da quel 27 maggio 2011. Cosa è cambiato?
Gli imprenditori trevigiani percorsero a piedi il tragitto dallo stadio di rugby di Monigo alla (allora) nuova sede dell'associazione, alla cittadella Appiani, un paio di chilometri per manifestare il loro disagio di fronte alle inefficienze del sistema-Paese e alle mancate risposte della politica. C’era al Governo il Berlusconi-IV, non certo – sulla carta – un esecutivo nemico delle imprese. Ma la misura era colma: troppo immobilismo, troppe parole a vuote secondo gli imprenditori.
Vardanega: «Serviva una svolta. Come oggi»
«L’avevamo definita una manifestazione silenziosa, ma il silenzio a volte è più rumoroso degli slogan». Alessandro Vardanega l’aveva creata un po’ a sua immagine, quella manifestazione. L’allora presidente di Unindustria Treviso non ama alzare la voce, né riempire i discorsi di parole a effetto. Ieri come oggi. «In quel momento, dieci anni fa, il Paese era in grande difficoltà: stava perdendo ogni credibilità internazionale, lo spread stava esplodendo con gravi conseguenze per le nostre imprese, il Governo non metteva al centro le imprese, il lavoro, le politiche per lo sviluppo. Così abbiamo deciso di manifestare il nostro grande disagio».
Oggi molti problemi sono ancora sul piatto: burocrazia, pubblica amministrazione pesante, bassa crescita. «Però oggi il Paese ha una guida autorevole, che dà credibilità – dice Vardanega – E anche in questo caso, a inizio 2020, eravamo stati i primi a chiedere le dimissioni di un Governo del quale criticavamo la gestione della pandemia e la direzione di alcuni provvedimenti, pensiamo a quota cento e soprattutto al reddito di cittadinanza, messaggio totalmente sbagliato: giusto aiutare chi è in difficoltà, ma non è questo il modo. Abbiamo chiesto le dimissioni di un Governo che giudicavamo incapace». Dover ricorrere a Draghi non è stata una sconfitta per la politica? «È vero, è una soluzione di emergenza, ci piacerebbe che avere profili di grande capacità alla guida del Paese fosse ordinario. È negativo dover ricorrere al salvatore della Patria, ma ben venga se serve per mettere a punto un modo nuovo di affrontare i problemi».
La fiducia
Se quella marcia andasse in scena oggi, Vardanega non ha dubbi su cosa chiederebbe: «Di non sprecare l’occasione che abbiamo per ripartire. Le condizioni ci sono tutte, il Pnrr è uno strumento straordinario per investire su sviluppo sostenibile, digitalizzazione del Paese, infrastrutture, pubblica amministrazione. Ci sono le risorse, c’è la progettualità verso cui convogliarle, c’è la credibilità: non sprechiamo quest’occasione. Serve coesione sociale: non è sufficiente chiedere cose, bisogna rendersi partecipi, tutti».
Tutti chi? Imprese, sindacato, politica, società civile? «Noi per primi, come associazione, dimostriamo con i fatti di essere liberi e mai orientati su obiettivi secondari o di potere, con la nostra azione. Come in quel 2011, quando lanciammo il “modello Treviso” di contrattazione territoriale. Abbiamo faticato a farne comprendere la bontà anche alla nostra Confindustria nazionale, quanti viaggi a Roma con il direttore Giuseppe Milan… Poi però la soddisfazione di vedere il modello riconosciuto, anni dopo, come esempio di “best practice”. Per questo dico che non basta chiedere, oggi: bisogna fare la fatica di essere propositivi e proattivi. Meno logica della rivendicazione, più logica di coesione».
Tomat: «Politica ancora inaffidabile»
«In un contesto come quello attuale, ora ci siamo dovuti affidare a una soluzione d’emergenza, quasi alla disperata, e questo la dice lunga – sottolinea oggi Andrea Tomat, allora presidente di Confindustria Veneto, riferendosi al Governo Draghi – Quella marcia era di protesta, forte per il suo simbolismo, un atto desueto, non convenzionale. Certo, difficile fare confronti con la situazione attuale: se lì serviva un impegno pari a cento, oggi serve cinquecento».
Al netto dell’eccezionalità del momento attuale causa pandemia, Tomat sottolinea come «la politica, in molte sue espressioni, abbia dimostrato ancora la sua inaffidabilità di fronte alla necessità di trovare soluzioni. Rispetto a dieci anni fa oggi non va meglio, anzi. Penso ai soldi buttati inopinatamente e allegramente, in questi giorni in cui si parla di chiudere l’esperienza dei navigator». Altro problema non risolto, in questo decennio: la macchina della giustizia e i suoi tempi. «Ho letto un sondaggio sulla caduta verticale della fiducia nella magistratura – dice Tomat – il tema della giustizia, dei suoi tempi, della certezza della pena è fondamentale per le imprese e per gli investimenti, anche dall’estero». Oggi come e forse peggio di allora.
La rabbia di allora
Dopo un ventaglio di sentimenti che negli anni precedenti era andato dall’aspettativa all’indulgenza passando per senso di impotenza e amarezza, «Adesso il sentimento più diffuso tra gli imprenditori che conosco è quello dell'ira», aveva detto alla marcia di protesta Fiore Piovesana, industriale della Camelgroup di Orsago, che appena due mesi prima aveva sollecitato la presidente nazionale di Confindustria Emma Marcegaglia a mollare Berlusconi e il suo governo, per il bene del Paese.
Il presidente di Unindustria Treviso, Alessandro Vardanega, aveva organizzato e messo in atto quello che era stato definito «un gesto eclatante»: una marcia silenziosa di duemila industriali per dire «Basta». Immagini senza precedenti, un “Quarto stato” in giacca e cravatta. Ne aveva parlato anche la stampa nazionale, un evento che aveva avuto eco in tutta Italia.
«I politici non hanno mai fatto gli imprenditori – aveva detto Bruno Vianello della Texa di Monastier - non sanno di cosa parliamo quando ci lamentiamo. Guadagnerei cinque volte di più a produrre in Cina, eppure sono qui ad assumere i ragazzi del mio paese. È questo che la politica non coglie: gli imprenditori vanno aiutati perché sono la linfa del paese. La marcia è un segnale, non ci interessa se pro o contro il governo. Qui non ci siamo proprio, rischiamo tutti».
«Noi dobbiamo avere il coraggio di scendere in piazza – aveva commentato Lauro Buoro, presidente della Nice di Oderzo - perché la situazione è delicatissima e anche le associazioni di categoria non riescono a fare abbastanza. La politica ci dovrebbe aiutare a prendere i giovani, che portano innovazione e creatività. Le imprese vanno agevolate ad assumere i giovani».
Quella marcia del 27 maggio 2011 si collegava idealmente con un'analoga protesta guidata da Nicola Tognana nel 1996: la consegna simbolica di tremila chiavi delle imprese al Governo.
L’imbarazzo di Sacconi
Il più imbarazzato era l’allora ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, costretto suo malgrado a fronteggiare una protesta senza precedenti nella sua Treviso. «Un'azione da leggere non contro il Governo, ma che serve di sprono», si era limitato a far sapere tramite i suoi portavoce. Dopo la marcia, Sacconi aveva detto che gli industriali avevano protestato «contro la Cgil». Furibonda fu la reazione del sindacato. Il saluto all'assemblea lo aveva fatto Vincenzo Consoli, dominus di Veneto Banca. Proprio altri tempi.
Polegato e Zoppas
Per gli imprenditori trevigiani era tempo di cambiare registro: «Ci troviamo davanti un muro sul quale facciamo rimbalzare una palla che torna sempre indietro: chiediamo tutti le stesse cose, industriali, sindacati, politici e cittadini, eppure non riusciamo ad ottenerle – aveva detto Mario Moretti Polegato, presidente di Geox - Dobbiamo togliere il coperchio a questa pentola che bolle e scoprire chi rema contro». «È urgente l'esigenza di spendere meno e meglio - aggiunge Gianfranco Zoppas - Il paese ha bisogno di una mano qui e subito. Dobbiamo uscire da questo immobilismo e la politica deve smettere di tenersi così occupata esclusivamente in conflittualità interne. Chissà che grazie a questo corteo ci vedano e finalmente riescano ad intuire la nostra coesione».
Lo sfogo
Deciso a mandare a casa il Cavaliere con tutto il suo entourage era stato proprio Alessandro Vardanega, allora presidente di Unindustria Treviso. «Nel territorio trevigiano e veneto in questo momento stiamo vivendo una situazione di grande disagio perché evidentemente gli imprenditori insieme ai loro collaboratori stanno facendo grandi sforzi per ristrutturare le proprie imprese per cercare di intercettare una domanda che è diversa rispetto al passato. E purtroppo non si riscontrano altrettante azioni forti da parte del Paese e della politica. Questa deve dimostrare capacità di ricomposizione degli interessi, anche di mediazione, perché qui dobbiamo davvero ricostruire la fiducia. Oggi stiamo decidendo quale sarà il futuro ma buona parte del Paese e della politica non sembrano accorgersene. Questo il disagio che stiamo vivendo e che abbiamo portato all'attenzione della Marcegaglia. Ora serve discontinuità come per il calcio: a un certo punto bisogna cambiare allenatore e avere uno scatto d'orgoglio»: queste le parole di Vardanega a Radio24 qualche settimana dopo la protesta di Treviso.
Oggi Vardanega è presidente di AVS, la società di servizi di Assindustria Venetocentro, e partecipa alla commissione per l’aggregazione con Confindustria Venezia e Rovigo: «Lavoriamo serenamente e procediamo, non è una cosa che si chiuderà domani ma neanche in lontanissima data».
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