Canella: «Il lavoro, la passione e qualche lite. L’esempio di papà per la nostra Alì»

Gianni Canella, che dopo la scomparsa del padre Francesco è diventato presidente esecutivo del gruppo di supermercati, racconta le sue strategie

Gianni Canella indica un tavolo coperto di documenti, dall’altra parte dell’ufficio che un tempo era di suo padre Francesco. «Era la mia scrivania, proprio di fronte alla sua. Il confronto tra noi era continuo», racconta. La domanda è d’obbligo: volavano gli ortaggi? «Un po’, soprattutto quando ero più giovane ed esuberante», sorride. «Lavorare con i genitori non è facile ma oggi posso dire che anche i litigi sono serviti. Ha trasmesso a tutti noi la passione per il lavoro e l’amore per la nostra azienda, così come sapeva fare lui».

Il gruppo Alì ha da poco reso ufficiali gli ultimi passaggi gestionali dopo la scomparsa del fondatore Francesco Canella, mancato in gennaio all’età di 92 anni. Il gruppo padovano, 1,4 miliardi di fatturato nel 2023 e 4.700 collaboratori, è una delle realtà più importanti nel combattuto mercato della grande distribuzione veneta, con 117 supermercati che si estendono anche tra Bologna e Ferrara. Marco, il primogenito, è stato nominato presidente della holding Ali Group. Gianni, che già era amministratore delegato di Alì, la società che gestisce i supermercati, è ora presidente esecutivo. Un passaggio generazionale iniziato da tempo e concluso senza strappi: «Il nostro obiettivo è continuare a fare il nostro lavoro, diventando sempre più bravi», dice Gianni.

La scomparsa di suo padre è stata vissuta con una partecipazione rara per un imprenditore. Come lo spiega?

«Nostro padre è sempre stato vicino alle persone e alle esigenze delle comunità. Era una presenza costante nei negozi, soprattutto nei fine settimana, tutti lo conoscevano e lo trattavano con rispetto. Teneva un dialogo costante con i collaboratori e i giri nei punti vendita diventavano momenti di formazione che riconducevano a quei valori che assimilò da casolino e che diventarono i valori di Alì, come l'attenzione alla qualità, alle persone, l'importanza dell'ascolto, l'accoglienza e la cortesia. Mai si poteva fare in Alì la coda alle casse, guardava scrupolosamente come i collaboratori esponevano la merce e come la comunicavano, salutava tutti e chiedeva sempre: “Come va?”».

Lei, suo fratello, i suoi cugini, tutti lavorate in azienda. La seconda generazione che cosa ha portato ad Alì?

«Tante innovazioni, grandi e piccole. Gli scaffali neri per i banchi del fresco, che avevo visto in California e permettono di visualizzare meglio la freschezza dei prodotti. I banchi frigo chiusi per surgelati e latticini, che all’inizio venivano percepiti come una barriera ma poi sono stati compresi, perché garantiscono una conservazione migliore e minori consumi di energia. In generale abbiamo portato maggiore sensibilità a innovazione e ambiente. Quando vent’anni fa abbiamo iniziato a lavorare con i Comuni per piantare alberi, papà mi ha preso in giro per anni. Quando poi ci siamo riusciti, era molto contento. Da allora abbiamo fatto tanto. Ricopriamo le superfici con tavelle fotoattive, che attirano le polveri sottili e le eliminano. Ogni 14 metri quadri è come piantare un albero. Abbiamo lavorato molto anche sul coinvolgimento dei collaboratori».

In che modo?

«Nostro padre ha puntato sempre su ascolto e condivisione. Quando nel 1971 aprì il primo supermercato, aveva chiesto prestiti anche a uno zio monsignore, firmando tante cambiali. Chiamò a lavorare i fratelli e gli amici di Veggiano, il suo paese. La sera tornavano a casa insieme in furgone, e spesso si fermavano a cena. Parlavano sempre di lavoro. Partendo da questo base, abbiamo elaborato un codice etico che non fosse di facciata ma di sostanza. I ragazzi l’hanno accolto bene, perché aiuta a lavorare meglio. Una volta condivise le basi del lavoro, abbiamo potuto superare alcune rigidità nelle regole, facendo emergere la creatività dei collaboratori. Abbiamo scoperto di avere un artista in ogni negozio».

Il turnover è elevato?

«Era tra i più bassi d’Italia, poi il Covid ha cambiato un po’ le cose. I giovani sono più propensi a cambiare anche se ci dicono di essere dispiaciuti e non vanno alla concorrenza. Alcuni, poi, tornano. Il 18% dei collaboratori i è con noi da oltre vent’anni e il 96% ha contratti a tempo indeterminato».

In Veneto la concorrenza è fortissima, c’è un motivo?

«Forse il dinamismo del territorio. Lo chiamano il triangolo delle Bermuda dei supermercati, perché sono passate da qui tutte le catene internazionali, a partire dai discount».

I discount veneti sono i supermercati più redditizi d’Italia. Come competere?

«Puntando su qualità e servizio, e tenendo sotto controllo quello che fanno gli altri, per non andare fuori mercato».

Nell’ultimo report di Mediobanca la vostra redditività è lontana dalle migliori.

«I dati si riferiscono al 2022, quando abbiamo scelto di assorbire una parte dell’inflazione per proteggere i clienti. È stato il bilancio più brutto della nostra storia ma siamo riusciti a difendere le quote di mercato meglio della media. I dati del 2023, che approveremo a breve, mostreranno già un miglioramento».

Volete crescere ancora?

«In media apriamo 2-3 nuovi supermercati l’anno. Continueremo così. Quest’anno avremo due nuovi punti vendita, a Vicenza e Abano».

La società è poco indebitata. Pensate ad acquisizioni?

«Preferiamo crescere in modo magari lento ma ben ponderato. Abbiamo una buona massa critica, che ci permette di dire la nostra. L’obiettivo è continuare così».

Andrete in altre regioni?

«Siamo già in Emilia Romagna, al momento non andremo oltre. Per garantire la freschezza la regola è non allontanarci più di 120 chilometri dal magazzino centrale».

Con suo fratello e i suoi cugini avete mai pensato di vendere l’azienda?

«Nessuno di noi lo vuole. Siamo nati in questa azienda, siamo stati abituati a lavorare sempre e abbiamo un ottimo rapporto con i nostri collaboratori. Non c’è motivo per cambiare le cose. C’è spazio per crescere, coinvolgendo sempre più le nostre persone nei progetti e nella governance».

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