L’accelerazione di Fidia Farmaceutici: «Altre acquisizioni per puntare al miliardo»
Carlo Pizzocaro, numero uno del gruppo celebre per l’acido ialuronico, racconta le strategie futura. Un gruppo solido, silenzioso, in grado di crescere a doppia cifra negli ultimi quattro anni, passando da 321 milioni di fatturato a oltre 500 nel 2024. Produce tutto in Italia ma vende ovunque, con il passo misurato di chi sa cosa significa cadere e ricominciare

C’è stato un tempo in cui Fidia Farmaceutici volava alto, letteralmente. Jet privati, elicotteri, sedi da Washington a Tokyo, la gloria mondiale appesa a un principio attivo estratto dal cervello bovino. Poi, nel 1993, la mucca pazza spazzò via tutto, lasciando un’azienda in default e un’industria piegata su sé stessa. Oggi, trent’anni dopo, Fidia è un’altra cosa. Solida, silenziosa, in grado di crescere a doppia cifra negli ultimi quattro anni, passando da 321 milioni di fatturato a oltre 500 nel 2024. Produce tutto in Italia ma vende ovunque, con il passo misurato di chi sa cosa significa cadere e ricominciare.
A guidarla è Carlo Pizzocaro, presidente e amministratore delegato, che ha fatto dell’acido ialuronico una religione industriale e del made in Italy una frontiera strategica.
In questa intervista ripercorre ottant’anni di storia, racconta la diversificazione oltre il core business storico e anticipa i prossimi obiettivi: nuove acquisizioni, nuove rotte, un nuovo orizzonte. Con un’idea in testa più chiara che mai: il miliardo di fatturato non è un traguardo, è solo il prossimo checkpoint.
Partiamo dalle origini: può raccontarci come nasce Fidia nel secondo dopoguerra e qual era la visione iniziale che ne ha guidato i primi passi?
«Fidia nasce nel 1946, nel primo dopoguerra, grazie all’intuizione di un medico bolognese. Era un’azienda piccola, quasi artigianale, pensata per offrire ai pazienti i prodotti che lo stesso fondatore sviluppava. Poi, alla fine degli anni Cinquanta, il primo passaggio chiave: il trasferimento della sede da Bologna ad Abano Terme, in provincia di Padova, e l’ingresso di un azionista padovano. Già allora Fidia lavorava con principi attivi di origine animale: l’acido ialuronico era uno di questi. Il primo prodotto a base di questo composto ( Connettivina, ndr) risale addirittura al 1963. Un anno prima della Nutella, per dire».
Quali sono stati i passaggi chiave che hanno segnato la crescita dell’azienda nei decenni successivi, fino ad arrivare alla svolta internazionale degli anni Ottanta?
«Il prodotto di punta era un estratto dal cervello bovino. Con quello Fidia si era espansa in tutto il mondo, dagli Stati Uniti al Giappone, fino a possedere jet privati e un elicottero. Poi, nel 1993, arriva lo tsunami della mucca pazza. Quel principio attivo viene ritirato dal mercato e l’azienda fallisce. Interviene la legge Prodi, viene nominato un commissario e da lì comincia un nuovo capitolo».
È a quel punto che l’acido ialuronico inizia a emergere come asset strategico. In che modo si è arrivati a puntare su questa molecola e a farne il nuovo centro del vostro sviluppo?
«Esatto. Il commissario riesce a ripartire da lì. Intuisce le potenzialità della viscosupplementazione – l’uso dell’acido ialuronico nelle articolazioni – e ottiene una registrazione della Fda per un prodotto negli Stati Uniti già nel 1997. Due anni più tardi, con il concordato, Fidia viene acquisita da tre soci: il vecchio azionista storico, una banca italiana – Efibanca – e un gruppo industriale lombardo. Quest’ultimo è oggi l’unico azionista. Dal 2009 è lui a controllare il 100% delle quote».
Da qui comincia la fase internazionale.
«Sì, il turning point arriva nel 2011, con la nascita della prima filiale diretta, negli Stati Uniti. Fino ad allora Fidia era presente in cento Paesi, ma tramite licenziatari. L’occasione arriva quando un nostro partner americano acquista un concorrente ed è costretto a restituirci i diritti di vendita. Cogliamo la palla al balzo e apriamo la nostra azienda: oggi quella realtà vale 70 milioni di fatturato. Da lì, non ci siamo più fermati».
Dagli Stati Uniti all’Europa, fino al Medio Oriente: può raccontarci come si è ampliata la vostra presenza globale negli ultimi dieci anni e quali sono i mercati più strategici per voi oggi?
«Nel 2013 fondiamo la filiale tedesca, poi arrivano Spagna, Francia, Austria, Russia, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia, Romania, Dubai , che è hub per tutta l’area Meta, ed Egitto. All’inizio di quest’anno, abbiamo aperto anche in Turchia. E ci stiamo preparando ad aprire in Arabia Saudita e probabilmente in Marocco».
Nonostante la forte proiezione internazionale, avete scelto di mantenere tutta la produzione in Italia?
«Assolutamente sì. Fidia produce tutto in Italia. Abbiamo due siti storici, ad Abano Terme e Noto, in Sicilia, cui si sono aggiunti negli anni lo stabilimento di Paderno Dugnano – specializzato in cerotti transdermici – e l’unità produttiva nelle Marche, acquistata nel 2017, leader in oftalmologia. Quindi oggi abbiamo quattro stabilimenti produttivi, tutti italiani. Le filiali all’estero sono solo commerciali».
L’acido ialuronico oggi pesa meno sul fatturato complessivo, ma resta un pilastro del vostro portafoglio?
«Lo è stato per molto tempo: fino al 2020 rappresentava circa il 60-70% del fatturato. Ma oggi vale meno del 50%. Continuiamo a essere la casa dell’acido ialuronico, lo produciamo ad Abano con un nostro processo fermentativo, da ceppo proprietario, in grado farmaceutico. Questo ci distingue dai produttori cinesi che operano su standard cosmetici. Ma per crescere servono anche altri asset».
La diversificazione del portafoglio prodotti, anche attraverso acquisizioni, sembra essere diventata una leva fondamentale. Può spiegarci quali logiche guidano queste operazioni e su quali aree terapeutiche state puntando?
«Abbiamo acquisito marchi storici da Sanofi, principalmente cortisonici. Servono anche come leva di marketing: sono prodotti conosciuti, apprezzati dai medici. A inizio 2024 abbiamo comprato altri prodotti ginecologici, sempre dalla stessa multinazionale, pensati per rafforzarci in aree strategiche come il Middle East e l’Africa, dove il nostro brand può agganciarsi a questi nomi già noti».
Quali sono i mercati su cui state scommettendo per sostenere la crescita?
«Puntiamo su Paesi con crescita demografica e miglioramento delle condizioni di vita. In Egitto prevediamo di raddoppiare il fatturato. In Turchia siamo appena partiti, e guardiamo con interesse anche all’Arabia Saudita»
Guardando al futuro, quale immagina sarà l’identità di Fidia nei prossimi cinque anni?
«Sempre più internazionale. L’Italia continuerà a essere importante, ma inevitabilmente il peso relativo scenderà. Nel 2024 abbiamo superato i 500 milioni di fatturato. Il prossimo obiettivo è arrivare al miliardo. E non escludo, anzi lo anticipo: entro fine anno potremmo annunciare altre tre acquisizioni, tutte all’estero». —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © il Nord Est