Luigino Pozzo sui dazi Usa: «Le istituzioni intervengano subito»

Il presidente di Confindustria Udine invoca azioni urgenti, alla luce della situazione già difficile vissuta dalla manifattura nazionale e nordestina, alle prese con caro energia, materie prime alle stelle e difficoltà di reperimento della manodopera

Maura Delle Case

 

La preoccupazione c’è, ma c’è anche la speranza che alla fine, con l’America, ci si possa trovare a metà strada. Di ritorno da Roma, dove ieri mattina si è riunito il consiglio generale di Confindustria, il presidente degli industriali di Udine, Luigino Pozzo, da un lato invita a non lasciarsi prendere dal panico, «perché bisogna ancora capire con esattezza quali prodotti europei saranno colpiti dai dazi annunciati da Trump», dall’altro guarda con un sentimento d’urgenza alla politica e alle istituzioni, «c’è bisogno – dice – che si muovano subito, viceversa rischiamo di arrivare tardi».

Presidente Pozzo, dopo i dazi su acciaio e alluminio, ora Trump minaccia dazi al 25% sui prodotti europei...

«Bisogna capire cos’ha in mente, a oggi non è molto chiaro. Trump ha parlato genericamente di dazi sull’Europa al 25% ma non sappiamo su quali prodotti intenda applicarli. Bisogna capire cosa succederà. Trump ci ha abituati a lanciare il sasso molto lontano...».

Cosa intende?

«La mia idea è che si tratti di un sistema per arrivare, alla fine, a negoziare. Anche perché ritengo il vero obiettivo del presidente Usa non sia l’Europa...».

Chi allora?

«I Brics, l’Oriente che sta rapidamente crescendo, che parla di moneta unica, che fa paura. Questo secondo me è il suo obiettivo. Cercare domare l’avanzata di quei Paesi».

Che c’entra l’Europa?

«Temo l’obiettivo di Trump possa essere quello d’imporre, nell’ambito di una mediazione sui dazi diretti a colpire i paesi europei, dazi dell’Europa nei confronti dei Brics e della Cina, per contribuire a frenarle l’avanzata. E questa è un’eventualità che mi preoccupa ancora di più perché noi, da quei Paesi, importiamo quote rilevanti di materie prime. Il contraccolpo per noi sarebbe ben più importante che quello dei dazi Usa su acciaio e alluminio che anzi, paradossalmente, rischiano di avvantaggiarci».

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In che modo?

«Se l’obiettivo di Trump è quello di far spingere la produzione siderurgica negli Usa è chiaro che avranno bisogno di impianti nella cui produzione noi siamo leader. Le esportazioni di acciaio e alluminio dall’Italia verso gli Stati Uniti è di appena 1,5% della nostra produzione, i dazi quindi non avranno sotto questo profilo un grande impatto. Viceversa, se penso in particolare al Friuli Venezia Giulia e alla provincia di Udine, siamo importanti esportatori di macchine e di questa situazione potremmo addirittura avvantaggiarci».

Qual è la posizione assunta dal consiglio generale rispetto all’ipotesi di nuovi dazi?

«Partiamo dalla preoccupazione, che naturalmente c’è. Anche perché questa minaccia si aggiunge a condizioni già difficili per la manifattura nazionale, reduce da un pandemia, alle prese con gli effetti sui mercati di due conflitti e ancora con gli alti costi dell’energia, l’aumento di prezzo delle materie prime, la difficoltà di reperimento della manodopera. Per dirla con il presidente Orsini, stiamo vivendo “l’ora più buia per l’industria”».

Insomma, mancavano solo i dazi...

«Appunto. E considerata la mancanza di una politica energetica comunitaria e in generale di una visione europea sul futuro della manifattura, la domanda oggi è cosa intendano fare governi nazionali e istituzioni europee per far fronte a questo nuovo problema. Dobbiamo sensibilizzare e in fretta l’apparato pubblico, non possiamo permetterci di arrivare tardi. In questo senso Confindustria deve fare la sua parte, far sentire la propria voce per richiamare il mondo politico europeo alle necessità dell’industria, che sta soffrendo. Se andiamo avanti di questo passo rischiamo la de-industrializzazione. Fin qui l’Europa ci ha sentito poco».

Un esempio?

«Il Green Deal. Nessuno dice naturalmente che il tema ambientale non sia di stringente attualità e vada affrontato, ma politicamente è stato cavalcato a livello europeo senza tener in alcuna considerazione gli effetti che avrebbe avuto sull’industria, insomma, si è trattato di un’esremizzazione ideologica di cui purtroppo stiamo toccando oggi con mano gli effetti».

Qual è dunque il “piano” di Confindustria? Cosa intendete fare?

«Anzitutto alzare la voce. Fin qui l’associazione è sempre stata per la linea della conciliazione, dell’ascolto, ora le variabili che impattano sull’industria e sul suo futuro sono tali e tante che è richiesta una forte presa di posizione a salvaguardia del sistema industriale di questo Paese. E si badi bene. La tenuta dell’industria non riguarda solo noi imprenditori, non solo la ricchezza del Paese, è una questione che minaccia di incidere profondamente sulla tenuta sociale: dall’industria dipendono posti id lavoro, redditi famigliari. Insomma, l’ha capito tutto questo la politica?».

Lei che ne pensa?

«Che le istituzioni hanno saputo intervenire nei momenti più drammatici. Penso alla pandemia. Oggi c’è una nuova urgenza. Confindustria farà il possibile perché il messaggio arrivi».

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