Matteo Marzotto: «I segreti della bellezza in mano agli artigiani»
Il presidente di MinervaHub: «Fatturato di 200 milioni con 1.400 dipendenti: vogliamo essere un punto di riferimento nell’accessorio»

Le metamorfosi dell’industria non si misurano solo in bilanci, ma nei percorsi di chi le guida.
Matteo Marzotto, erede di una delle più antiche dinastie tessili italiane, ha attraversato le stanze dorate delle grandi maison per poi risalire la filiera fino all’origine della creazione: la manifattura.
Un passaggio che potrebbe sembrare un ritorno alle origini, ma che in realtà è una nuova frontiera. MinervaHub, il gruppo di cui è stato uno degli ispiratori e che oggi presiede, è stato costruito con una dinamica di acquisizioni e oggi rappresenta un laboratorio industriale che si pone al servizio del lusso con una strategia chiara, una visione di lungo periodo e la volontà di eccedere gli standard internazionali in innovazione e sostenibilità.
In un settore che attraversa turbolenze globali – dall’inflazione alla crisi dell’aspirazionalità, passando per la ridefinizione degli equilibri tra Europa, Stati Uniti e Cina – MinervaHub scommette su una crescita controllata, garantita dall’ingresso di San Quirico, che nel 2023 ha rilevato il 100% del capitale, con i fondatori e i manager che hanno poi reinvestito nel progetto.
Oggi il gruppo è un aggregato di 25 aziende, un ecosistema di competenze diverse che spaziano dalla pelletteria alla calzatura, dai materiali plastici alle metallerie di precisione.
L’ambizione di Marzotto è chiara: creare un modello che permetta ai brand di lusso di avere un unico interlocutore per la fornitura di componenti e soluzioni tecniche, con standard produttivi di eccellenza e un’integrazione verticale che superi la frammentazione dei distretti italiani.
Marzotto, MinervaHub è una realtà in forte espansione, costruita su un modello industriale articolato. Qual è la sua visione strategica?
«MinervaHub non è solo un'aggregazione di aziende, ma un ecosistema di competenze e mestieri che si contaminano e si arricchiscono a vicenda. Il mondo della manifattura italiana ha un valore straordinario, fatto di tradizione, talento e capacità di innovazione. Noi abbiamo voluto mettere a sistema tutto questo, riunendo realtà diverse per creare qualcosa che sia più della somma delle sue parti. La sfida più grande non è acquisire aziende, ma farle dialogare, far emergere sinergie inedite e costruire un linguaggio comune capace di rispondere alle esigenze dei grandi brand globali. Parliamo di prodotti, certo, ma soprattutto di persone. Sono gli uomini e le donne che fanno la differenza: artigiani, tecnici, imprenditori che hanno investito nel progetto, che credono in questa visione e che ogni giorno portano un contributo unico. La nostra ambizione non è solo quella di servire i brand, ma di essere il punto di riferimento per l'innovazione nell'accessorio di lusso. È un progetto industriale con basi concrete e numeri importanti: oggi Minerva Hub fattura circa 200 milioni di euro, con 1.400 dipendenti, e una crescita costante che ci spinge a investire sempre di più in tecnologia e sostenibilità».
Il gruppo integra un portafoglio di 25 aziende. Come siete arrivati a questo traguardo?
«La nostra storia è recente, ma ha radici solide. Il primo embrione di MinervaHub nasce nel 2019 con l'aggregazione XPP7. Poi arriva Ambria, nel 2020, nel pieno della pandemia, con la convinzione che anche nei momenti più difficili si possano gettare le basi per qualcosa di grande. Nel 2022 abbiamo unito queste realtà e dato vita a Minerva Hub con sei aziende. Il salto di qualità è arrivato con l'ingresso di San Quirico, il veicolo di investimento della famiglia Garrone-Mondini, che nel giugno del 2023 ha rilevato il 100% del gruppo attraverso una gara competitiva. Noi fondatori e manager, però, abbiamo creduto nel progetto e siamo rientrati con una quota del 25%, reinvestendo nel veicolo di controllo. Questa operazione ci ha permesso di mantenere una visione strategica di lungo termine e di proseguire la crescita secondo una logica industriale solida e condivisa. Dal loro ingresso abbiamo completato 14-15 acquisizioni strategiche, alcune delle quali includevano più realtà aziendali. Oggi siamo 25 aziende e non si tratta solo di numeri: ogni acquisizione è un tassello che arricchisce il nostro mosaico, portando nuove competenze e nuove prospettive. Non ci interessa crescere per il gusto di farlo, vogliamo costruire qualcosa di solido, capace di durare nel tempo».
Come si riesce a mettere insieme realtà così diverse senza snaturarle?
«Il punto di partenza è sempre il rispetto delle identità. Ogni azienda che entra in Minerva Hub ha una storia, una cultura aziendale, delle persone che l'hanno costruita con passione e dedizione. Noi non vogliamo snaturare niente di tutto questo. Al contrario, il nostro obiettivo è esaltare le specificità, mettendole in connessione con le altre realtà del gruppo. Abbiamo un metodo preciso: partiamo dall'accessorio di lusso, che sia calzatura, pelletteria o metalleria, e costruiamo una rete in cui ogni azienda porta un valore aggiunto. Non è una somma meccanica, ma un'integrazione organica. Il vero punto di svolta è la collaborazione: quando le competenze si incontrano, nascono idee nuove, prodotti innovativi, soluzioni che prima sembravano impensabili. Il nostro approccio è molto chiaro: offriamo ai grandi brand un unico interlocutore che garantisce un servizio completo, eccellenza produttiva e il rispetto di tutte le certificazioni Esg più avanzate».
In un contesto economico difficile, quali sono le opportunità per Minerva Hub?
«Parliamoci chiaro: il mercato vive un momento di grande incertezza. Dopo il boom post-Covid, il 2023 ha segnato un rallentamento significativo. I consumatori aspirazionali, che sono una fetta importantissima del lusso, hanno visto ridursi il loro potere d'acquisto. I brand devono ripensare strategie, trovare nuovi equilibri. Ma io non credo nelle analisi di breve termine. Se guardiamo il settore nel lungo periodo, vediamo un trend chiaro: il lusso resta un mercato in crescita, con opportunità enormi. L'Italia ha una posizione unica: siamo il punto di riferimento per la manifattura d'eccellenza. La nostra sfida è rafforzare questo ruolo, investendo in ricerca, sostenibilità e nuove tecnologie».
Lei ha guidato grandi maison come Valentino. Ma poi in seguito anche Vionnet e Dondup. Com'è stato il passaggio alla fornitura?
«In fondo è un po’ un ritorno alle origini. Io sono partito dal tessile, che è stata la mia prima esperienza professionale, e dopo tanti anni nel mondo delle maison ho ritrovato un legame profondo con questo settore. È un mondo che mi ha sempre affascinato: chi lavora nella fornitura è spesso invisibile, ma è il cuore della creatività e dell’innovazione. La moda nasce qui, nelle mani degli artigiani, nei laboratori che sperimentano nuovi materiali e tecnologie. MinervaHub è il punto d’incontro tra creatività e manifattura, e per me è un’esperienza straordinaria».
La Cina sta emergendo non solo come mercato, ma anche come produttore di lusso. Come vede questa evoluzione?
«Il fenomeno è chiaro: in Cina stanno nascendo marchi di lusso con un'identità sempre più forte. Sono stilisti formati in Occidente, che portano una cultura visiva e produttiva radicata nel nostro mondo. Io non vedo questa come una minaccia, ma come una sfida. La concorrenza è sana, se è leale. Il mio sogno? Che un giorno un grande brand cinese scelga il Made in Italy per la sua produzione. Sarebbe una conferma del valore ineguagliabile della nostra manifattura».
MinervaHub punta molto sulla sostenibilità. Quali sono i vostri obiettivi?
«Il lusso non può esistere senza responsabilità. Tracciabilità, materiali sostenibili, energie rinnovabili non sono solo trend, sono necessità. Noi ci stiamo muovendo in questa direzione con decisione. Oggi il 30% della nostra energia proviene da fonti rinnovabili, ma vogliamo fare di più. I brand globali chiedono standard sempre più elevati e noi vogliamo non solo rispettarli, ma anticiparli».
Dopo oltre 30 anni nel settore, cosa la motiva ancora?
«La curiosità. Ogni giorno vedo qualcosa di nuovo: un materiale, una tecnica, un’idea che può cambiare il modo di fare le cose. C’è un elemento intangibile che non ha che fare solo con la capacità di saper fare le cose, riguarda la bellezza, il senso stesso del piacere nell’indossare un bell’abito o un bell’oggetto. Il cliente compra quello che gli piace, che trova figo, attraverso il quale riesce a esprimere se stesso, l'immagine di se stesso in questo mondo. Tutto questo è intangibile, ed è un senso estetico che hai i nostri canoni. Il Made in Italy ha ancora tanto da dire, e io voglio essere parte di questa storia».
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