Falso made in Italy: alla Cina piace la mozzarella in gondola
Chi vive in Cina per lavoro, ma è italiano doc, dice che in Oriente sono davvero “fissati con la gondola”. Non deve stupire, dunque, se nella confezione di un formaggio giallo, formato sottiletta, appaia ben evidente la scritta "European Mozzarella Cheese". Siamo in uno scaffale di un supermercato cinese. Il prodotto, che non è mozzarella – è evidente – è prodotto in Austria (“From Austria” recita una scritta ben più piccola) ma nella confezione è disegnata una gondola sotto il ponte di Rialto. E anche la Torre di Pisa. Ma c’è una gondola ben evidente anche nell’Italian latte Taifu che sta nel frigorifero cinese vicino alle bevande al limone “Hello”. Chissà da dove proviene questo latte.
Quello che è certo è che la gondola è, per i cinesi, il simbolo dell’Italia. Un simbolo più forte del colosseo, della mole antonelliana, del duomo di Milano. Ma tutto questo ci dice anche che, per quanto siamo bravi ad esportare, non siamo ancora in grado di tutelare né il made in Italy né tutto quello che potremmo definire brand italiano: la bandierina tricolore aleggia in molti prodotti oltralpe tarocchi, così come (lo dice un’indagine Coldiretti) i termini più storpiati al mondo restano: spaghetti, prosecco, mascarpone, maccheroni, ravioli, salame, gorgonzola. Ci sono pure le “differenti versioni” in giro per il mondo di molti piatti e prodotti: "Sicilia Style", “Come a casa”, “Corso Verona”, “Tricolore”.
Nel 2015, per fare il punto, l’Italia ha esportato 36,8 miliardi di prodotti del settore agroalimentare (+74% negli ultimi dieci anni, ndr) nonostante le difficoltà, come il blocco in Russia. A trainare è il vino che da solo occupa 5,4 miliardi di vendite oltre confine, seguito dall'ortofrutta (4,4 miliardi) e dalla pasta (2,4 miliardi). Nella top five anche i formaggi (2,3 miliardi di export), i pomodori trasformati (la classica “pummarola” della nonna) e l’olio d’oliva (1,4 miliardi) a pari merito con i salumi.
L’Istat, nel I trimestre 2016, segnala una variazione tendenziale per l’agroalimentare italiano a +1,8%, quindi in accelerazione. Il Nordest (Emilia compresa) è a +3,4%, con il Veneto a quota +3,9, il Trentino Alto Adige a 7,6 per cento e il Fvg a 0,2% Circa un prodotto alimentare italiano esportato su cinque, calcola la Coldiretti, è “doc” con il valore delle esportazioni pari al 20% del totale.
Ma stare sui mercati esteri, l’abbiamo visto, è un’opportunità e contemporaneamente anche un rischio. In questi anni le imitazioni sono esplose. «L’agropirateria fattura sul falso made in Italy 60 miliardi, quasi il doppio dei prodotti originali», denuncia Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti. La top 5 dei tarocchi In testa alla classifica dei prodotti taroccati, ci sono i formaggi: Parmigiano Reggiano, Grana Padano ma anche l’Asiago. Poi i salumi, dal Parma al San Daniele, conserve e ortofrutta.
Se gli Usa sono i leader del falso, le imitazioni sono molto diffuse dall’Australia al Sud America fino alla Cine, e persino in Europa. C’è poi l’italian sounding di matrice interna, che importa materia prima dai Paesi più svariati, la trasforma e ne ricava prodotti che vende come italiani senza lasciare traccia, attraverso un meccanismo di dumping che danneggia il vero made in Italy, perché non esiste ancora per tutti gli alimenti l’obbligo di indicare la provenienza in etichetta.
L’obiettivo della riforma perseguita oggi dal ministero della Giustizia è quello di creare un’etichetta narrante con origine, tracciabilità, contenuto: a tutela della salute e di un’economia pulita.
@eleonoravalllin
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