Farinetti, la nuova Eataly targata Investindustrial

Oscar Farinetti, il guru di Eataly, ha mantenuto una quota del 22% della sua creatura a un anno dall’acquisizione da parte di Investindustrial.
Ha appena pubblicato il suo nuovo libro (Dieci mosse per affrontare il futuro, Solferino Libri) che dedica alla Generazione Z, ai ventenni di oggi: «Sono ragazzi nati senza sicurezze in un mondo incerto e competitivo, spazzato da venti di guerra, crisi politiche ed emergenze. Eppure hanno voglia di futuro e sono una generazione molto intelligente anche nel capire il valore della sfida ambientale».
Ed ecco che Oscar Farinetti invoca un testimone d’eccezione: Leonardo Da Vinci, «che le aveva già previste e provate tutte e che non a caso era un genio».
Farinetti, come vede oggi il sistema della grande distribuzione in Italia, il percorso del cibo e dei consumi?
«Eataly ha colto una forte richiesta di prodotti di qualità nel Paese. In quindici anni abbiamo formato una generazione di italiani che hanno imparato a preferire prodotti salubri e sani. Il nostro motto è mangiare la metà di prodotti che costano il doppio. In questo modo diffondiamo una cultura del prodotto biologico e paghiamo meglio i contadini. La grande distribuzione negli ultimi dieci anni ha alzato, anche grazie a noi, il livello medio dell’offerta. Allo stesso tempo abbiamo assistito a una enorme crescita dei discount che vendono prodotti più economici».
La crisi ha messo in difficoltà i grandi ipermercati a vantaggio dei discount?
«Negli anni zero il modello del grande consumo è entrato in crisi perchè sono cresciute molto le diseguaglianze e le disparità di reddito. La clessidra si è rivoltata. La caduta delle vendite della grande distribuzione ha causato un forte aumento dell’offerta di prodotti sottocosto e minore qualità».
Con quale risultato?
«Il consumo classico oggi è in difficoltà. Si è spinto la gente a cercare di risparmiare privilegiando i discount facendo scorte di cibo e incentivando lo spreco alimentare. Negli ultimi anni abbiamo visto a livello mondiale una inversione di rotta con il ritorno dei supermercati nei centri storici rispetto alle grandi cattedrali del consumo alla periferia delle città a cui eravamo abituati sin dagli anni Novanta».
L’aumento dei prezzi come sta cambiando i consumi?
«L’inflazione è vissuta molto male dalla gente. Noi italiani non abbiamo capito che è sbagliato risparmiare sul cibo che resta il bene più economico. È sbagliato risparmiare sulle zucchine e comprare costosissimi telefoni cellulari e borse di marca. Dobbiamo iniziare una promozione culturale, come Eataly fa da anni, per fare capire l’importanza del cibo per il nostro benessere. Spiegare la differenza fra una fetta di pane biologico con le farine macinate a pietra e una merendina industriale».
Quale modello propone oggi la sua Eataly?
«Rappresentiamo uno zoccolo duro di consumatori. In passato, quando ho lasciato Unieuro, ho venduto il 100%. Con Eataly restiamo. E ci crediamo talmente che abbiamo scelto di fare posto a qualcuno che porta nuovo vigore e determinazione. Investindustrial ha competenza nel food e la stessa visione del mondo».
È ancora vincente il suo modello di filiera corta e di grande attenzione alla qualità e sostenibilità del cibo?
«Lo dimostra il successo straordinario di Eataly che ha introdotto un nuovo rapporto fra il consumatore co-produttore e il cibo. Il distributore che diventa educatore co-produttore. È una questione di conoscenza e capacità di nutrirsi meglio. La diminuzione del potere d’acquisto degli italiani può diventare uno svantaggio. E ciò ha spinto la grande distribuzione a promuovere prodotti a marchio proprio più economici ma di qualità inferiore. Bisogna portare nelle scuole l’educazione agroalimentare e alla biodiversità».
La sua Eataly è stata ricapitalizzata per 200 milioni. Sta funzionando?
«Io ormai non c’entro più nella gestione ma vedo che Eataly sta migliorando moltissimo. La mia famiglia ha scelto di lasciare il posto a qualcuno che sta portando nuovo vigore e determinazione. Investindustrial ha competenza e la stessa visione del mondo. Il nuovo amministratore delegato Andrea Cipolloni è bravissimo e gode di tutta la mia stima. Nel 2022, nonostante il risultato in perdita, abbiamo registrato 25 milioni di Ebitda in un anno di pandemia ed è questo il valore che conta. Come previsto il 2023 sta andando molto bene».
Nel 2021 c’è stata l’apertura di Londra, il primo Eataly nel Regno Unito. Poi gli Usa. Nuove aperture?
«Siamo diventati i numeri uno negli Usa e stiamo aprendo il terzo negozio a New York e a breve in Canada. Anche la mossa di Cipolloni di aprire negli aeroporti è stata molto intelligente con risultati strabilianti. La mia famiglia ha scelto di restare proprio perché abbiamo un interesse etico e morale verso l’azienda che vorrei continuasse ad andare molto bene».
Contento della sede di Trieste?
«È un gioiello di grande bellezza e fattura il doppio di quanto immaginavo quando l’abbiamo scelta. È diventata un punto di riferimento della città come peraltro a Genova. Immagino ci si possa ispirare alla bellezza del modello di Eataly a Trieste, piccolo come dimensioni, anche per la terza sede a New York. Stiamo tornando a vivere i nostri centri storici in una dimensione più raccolta. È un fenomeno che avverto anche nella grande distribuzione».
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