Fatturato ed export della concia veneta sopra i livelli pre pandemia, ma i prodotti chimici scarseggiano

Secondo l’Unione Nazionale Industria Conciaria (Unic) il giro d’affari e le esportazioni del settore veneto nel 2021 aumenteranno del 30% e del 34% sul 2020, attestandosi rispettivamente oltre i 2,8 miliardi di euro (nel 2019 il fatturato era stato di circa 2,7 miliardi) e oltre i 2,2 miliardi (nel 2019 l’export valeva circa 2,1 miliardi).

Federico Piazza

Tornano sopra i livelli pre pandemia del 2019 il fatturato e l’export della concia veneta, nonostante i rallentamenti della produzione in questi mesi a causa della scarsità di prodotti chimici.

I dati del Veneto
Secondo l’Unione Nazionale Industria Conciaria (Unic) il giro d’affari e le esportazioni del settore veneto nel 2021 aumenteranno del 30% e del 34% sul 2020, attestandosi rispettivamente oltre i 2,8 miliardi di euro (nel 2019 il fatturato era stato di circa 2,7 miliardi) e oltre i 2,2 miliardi (nel 2019 l’export valeva circa 2,1 miliardi). Con un’incidenza delle esportazioni quindi superiore al 75%, e rispetto al 2020 rialzi a doppia cifra verso le principali destinazioni estere: Usa +33%, Cina e Hong Kong +65%, Vietnam +83%, Germania +33%, Francia +38%, Polonia +42%, Portogallo +26%, Romania +28%, Corea del Sud +12%, Spagna +34%, Regno Unito +17%.

Quello veneto, centrato sul distretto vicentino di Arzignano, è il principale comprensorio italiano ed europeo del comparto. Formato da circa 450 concerie che impiegano quasi 8500 addetti, genera oltre il 61% del fatturato settoriale italiano, il 39% di quello europeo, il 14% di quello mondiale. Ed è specializzato nella lavorazione di pelli bovine, importate in gran parte dall’Europa, prima area di provenienza, dal Sud America e dal Nord America. I mercati dell’automotive e dell’arredamento, quest’ultimo con una domanda in forte crescita nell’ultimo biennio, sono le due aree di forte specializzazione del distretto, seguite da calzature e pelletteria.

I dati dell’Italia
Guardando invece all’intera industria conciaria italiana, i dati elaborati da Unic relativi ai primi 8 mesi del 2021 evidenziano un incremento tendenziale sul 2020 del 13,2% dei volumi di produzione e del 22,5% del fatturato. Ma, nota Unic, la comparazione essenziale con il 2019 mostra ancora un persistente ribasso, compreso tra il 5% ed il 20% a seconda degli indicatori economici. Questo si riflette anche nell’export di pelli italiane, il cui valore da gennaio ad agosto 2021 è cresciuto del 25% sullo stesso periodo 2020 ma è ancora inferiore del 14% rispetto al 2019. In ripresa ma sempre sotto il 2019 sono sia i mercati europei sia la Cina, che inclusa Hong Kong è da quasi trent’anni la prima meta estera delle pelli italiane (+33% sul 2020, -19% sul 2019.

È invece già tornato ai livelli pre pandemia il mercato Usa, e fanno pure meglio il Vietnam, oggi la seconda più importante destinazione dell’export italiano di pelli (+57% sul 2020, +19% sul 2019) e l’emergente Messico (rispettivamente +77% e +28%).

La zona industriale di Arizignano
La zona industriale di Arizignano

Situazione a macchia di leopardo per i segmenti produttivi. Decisa crescita delle vendite delle pelli per arredamento, ma recuperi ancora incompleti su pelletteria e automotive. Mentre la calzatura, seppur in rialzo, rimane la destinazione d’uso attualmente più in difficoltà. Come tipologia, la ripresa appare generalmente più consistente per le pelli bovine (mediamente +26% di vendite stagionali), soprattutto medio-grandi, e ovine, mentre persistono i cali del caprino.

Il problema materie prime
L’andamento dei prezzi delle materie prime è tra le maggiori preoccupazioni negli ultimi mesi anche tra le concerie italiane. La crescita media da inizio 2021 a novembre è stata del 21%, con punte anche superiori al 50% per alcune tipologie. Una questione molto rilevante per l’industria conciaria italiana, un settore principalmente capital intensive dove nel mix della struttura dei costi operativi il lavoro incide per massimo il 15%, a fronte di una media del 16% per l’acquisto di prodotti chimici, tra il 40% e il 60% per le pelli grezze a seconda delle destinazioni d’uso, e circa il 25% per i servizi tra cui l’energia.
In occasione dell’assemblea annuale di Unic il 14 dicembre a Milano, il presidente Fabrizio Nuti ha osservato come il 2021 sia stato «caratterizzato per difficoltà di approvvigionamento e l’aumento, anche a doppia cifra, dei costi di pelli e prodotti chimici, e dei costi energetici, che stanno spingendo l’inflazione». Un contesto congiunturale in cui «è essenziale non registrare perdite di marginalità a fine anno».

La sostenibilità della pelle italiana
La questione della sostenibilità economica a breve-medio termine del settore, rispetto alle attuali incertezze per i rincari e la scarsità di materie prime e la logistica dei noli marittimi, non è l’unica per l’industria della pelle. C’è infatti anche la grande sfida in prospettiva della sostenibilità ambientale e sociale, e di come comunicarla.

La zona industriale di Arizignano
La zona industriale di Arizignano

«È importante far sapere a tutti che ciò che è stato fatto in Italia in termini di investimenti alla ricerca di una sostenibilità completamente circolare non è stato fatto in nessuna altra parte del mondo», afferma Nuti, che ha richiamato l’esigenza di rafforzare il «lavoro culturale, educativo, sociale, intensificando l’attività di comunicazione verso gli stakeholder determinanti». Per esempio la comunicazione del valore, dell’eccellenza e della sostenibilità della pelle italiana verso i grandi brand della moda, molto sensibili al tema della tracciabilità attraverso un crescente grado di conoscenza verificata dell’intera filiera: allevamenti, macelli, varie fasi del processo di concia, prodotti ausiliari, logistica, gestione scarti ed emissioni.

La domanda di carne cresce, quella di pelli no
In termini globali, la comunicazione della sostenibilità dell’industria della pelle è una questione molto delicata, visto che spesso il settore viene considerato corresponsabile delle problematiche attinenti gli impatti ambientali degli allevamenti e il benessere degli animali.

«La concia è un settore strategico che rappresenta il 15% del valore complessivo di 300 miliardi di dollari della value chain mondiale della pelle, comprendente l'industria della moda e una parte dell’automotive e dell’arredamento. E il mondo della concia non si sottrae ai temi dell'impatto ambientale degli allevamenti e dell'animal welfare», osserva Giacomo Zorzi, referente di Unic per il distretto veneto. Che sottolinea come comunque non è certo a causa della domanda di pelle che aumentano gli allevamenti di bestiame, visto che il driver è la crescente domanda mondiale di carne per alimentazione umana e le pelli sono solo un sottoprodotto. «Secondo Unido, l’agenzia Onu per lo sviluppo industriale, se le concerie sparissero queste pelli verrebbero bruciate o finirebbero in discarica producendo 5 milioni di tonnellate di gas serra».

La certificazione Icec della filiera
Un’attività che Unic porta avanti da anni è per esempio la certificazione Icec per le esigenze specifiche delle concerie italiane studiata per il modello economico dei distretti industriali, oggi adottata in Italia da un numero di aziende che rappresentano oltre il 50% del fatturato di settore nazionale.

Una serie di strumenti per gestire in maniera coerente tutti i processi legati al tema della sostenibilità: rischio chimico, tracciabilità, sicurezza, qualità, impatti ambientali, marcatura d'origine, etc. «L'industria conciaria italiana ha il sistema più evoluto al mondo di identificazione e tracciabilità, e quindi di gestione dell'informazioni, relativa alla catena di fornitura a monte della conceria», spiega Zorzi.

«Per esempio, tra i molteplici dati che si possono raccogliere con lo schema di certificazione Icec, ci sono quelli relativi alla gestione del rischio rispetto al problema delle deforestazioni che avvengono in varie parti del mondo per far spazio agli allevamenti di bestiame. Grazie alla collaborazione con l’organizzazione non governativa internazionale National Wildlife Federation, il sistema Icec consente infatti anche di geolocalizzare i singoli allevamenti da cui proviene ciascun lotto di pelli, analizzandone la posizione rispetto alle mappature delle aree soggette a deforestazioni e identificandone i gestori e le loro eventuali connessioni con indagini giudiziarie in questo campo».

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