Fermi e chiusure per il caro energia: la siderurgia naviga a vista

L’elenco si va allungando di ora in ora: Acciaierie Venete, Acciaierie di Verona, Acciaierie Beltrame e un crescente numero di fonderie, tra le altre le veronesi Zanardi. Aziende costrette a fermarsi, a interrompere l’attività, in attesa che i prezzi dell’energia scendano e rendano nuovamente sostenibili le produzioni, che scontano anche sempre maggiori criticità sotto il profilo degli approvvigionamenti di materie prime. L’impatto del conflitto russo ucraino si fa sempre più importante e minaccia di diventare sistemico 

Maura Delle Case
Un impianto di uno stabilimento siderurgico
Un impianto di uno stabilimento siderurgico

PADOVA. Esacerbata dalla guerra in Ucraina, la fiammata dei costi dell’energia, già iniziata tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022, oggi sta producendo un effetto domino sulle imprese siderurgiche, attività produttive tra le più energivore che dopo aver stretto a lungo i denti, tentando di assorbire i maggiori costi a discapito della marginalità, oggi – con l’energia elettrica arrivata all’inimmaginabile quota di 700 euro/Mwh – hanno iniziato chi a frenare, chi a fermare. Anche a Nordest. Veneto compreso. 

Acciaierie Venete 

Dopo un periodo di stop&go, dallo scorso lunedì e certamente fino a venerdì la produzione delle acciaierie si è fermata. Con i picchi toccati dal prezzo dell’energia e in particolare dall’elettricità, volata negli ultimi giorni prima sopra i 600 euro/Mwh poi ancora più su, sopra i 700 euro/Mwh, ogni sostenibilità è andata in fumo. Nemmeno la produzione a singhiozzo è più sufficiente. L’energia costa troppo – fanno sapere dall’azienda –. Anche nelle ore di prezzo minimo l’elettricità resta comunque sopra i 400 euro/Mwh che significa quasi 10 volte tanto quanto il prezzo orario che l’azienda pagava appena un anno fa (circa 50 euro/Mwh). 

Da qui la decisione di fermare. Prima le tre acciaierie a Padova, Borgo Valsugana e Sarezzo, da domani (10 marzo) anche i laminatoi, che fin qui – consumando meno e avendo a terra i semi-prodotti – avevano continuato a lavorare.

«Ora ai prezzi proibitivi delle energie si stanno aggiungendo anche forti criticità dal punto di vista delle materie prime, parte delle quali provengono storicamente da Russia e Ucraina – denuncia il presidente di Acciaierie Venete, Alessandro Banzato –. In queste condizioni, che derivano da problematiche oggettive sulle quali si innestano probabilmente dinamiche speculative, è assolutamente impossibile produrre. Per ristabilire condizioni accettabili servono pertanto interventi urgenti ed eccezionali da parte del Governo e dell’Europa, interventi da vera e propria economia di guerra».

Nell’attesa, la siderurgia naviga a vista. Con visibilità a un giorno, forse due. «Sabato? Vedremo i prezzi, se sono abbordabili riaccenderemo i forni delle acciaierie, altrimenti attenderemo di vedere quale sarà la situazione lunedì» aggiungono dall’azienda che per gestire la situazione ha attivato per dipendenti investiti dai fermi – sono 1.400 quelli a libro paga – la cassa integrazione ordinaria. 

Acciaierie di Verona (Pittini)

Procedono ormai da giorni in modalità mista le Acciaierie di Verona (gruppo Pittini) che ha fermato i laminatoi e sta gestendo le acciaierie con due fermate quotidiane: la prima dalle 6 alle 9 e la seconda dalle 18 alle 21. Anche qui l’attività dei reparti a caldo, tanto quanto la sospensione, dipendono strettamente dalle quotazioni dell’energia. «Si vive alla giornata» fa sapere il segretario di Fiom Cgil Verona, Martino Braccioforte, reduce dall’esame congiunto per l’attivazione della cassa integrazione che anche qui, come ormai nella maggior parte dei grandi stabilimenti siderurgici, è stata attivata per gestire i lavoratori costretti a casa causa fermi. 

L’azienda ha aperto una cassa integrazione ordinaria per l’intero mese di marzo e ha garantito una tutela aggiuntiva per i lavoratori che utilizzeranno l’ammortizzatore – quelli, dei 350 complessivi, afferenti ai reparti a caldo –: «Si tratta di un’integrazione economica oraria di circa 2,5 euro orari che consentirà ai lavoratori di contenere la perdita di reddito nel periodo della cassa» aggiunge Braccioforte. 

Acciaierie Beltrame 

Stop di due giorni anche alle vicentine acciaierie Beltrame. «Avevamo in programma una fermata per giovedì e abbiamo deciso di estendere anche a venerdì» ha fatto sapere l’azienda che a sua volta attenderà l’evoluzione dei prezzi per decidere le mosse successive. 

Fonderie Zanardi

L’ondata dei fermi non risparmia le fonderie. L’ultima in ordine di tempo è Zanardi che sospende la produzione a Minerbe (Verona) per una settimana a causa dei rincari dell'energia e per la carenza di materie prime a causa della guerra in Ucraina.
Il paradosso sta nel fatto di avere «gli ordini ancora molto alti ma non riusciamo a produrre per i costi elevati dell'energia e per la mancanza di materie prime» spiega Fabio Zanardi, presidente e amministratore delegato di Zanardi Fonderie.  «La situazione è drammatica a causa dei rincari dell’energia – spiega ancora Zanardi – . Il tema delle materie prime è un ulteriore problema che si aggiunge a quello dei costi dell'energia. Dalla Russia e dall'Ucraina arrivava la maggior parte della ghisa in pani che è la materia prima fondamentale per il processo di fonderia. Con la guerra non c'è più modo di rifornirsi» conclude Zanardi, che è anche presidente di Assofond, l’associazione di Confindustria che rappresenta gli imprenditori del comparto.

Zml (gruppo Cividale) e Faber Industrie

E la a carenza di pani di ghisa è all’origine anche dello stop di una settimana del reparto ghisa della Zml(Gruppo Cividale) a Maniago (Pordenone), mentre per Faber Industrie (Cividale) la produzione a singhiozzo si deve sempre al caro energia.

«La situazione che si è venuta a creare, prima per gli aumenti delle materie prime e in certi casi per la difficoltà del loro reperimento, e adesso per gli aumenti smisurati dell’energia e del gas, ha superato i livelli di guardia – spiegano dal quartier generale di Cividale del Friuli –. Gli aumenti di energia e del gas in particolare, in questo momento, non giustificano la produzione. Per ora stiamo optando per un fermo produttivo solamente in certi reparti per evitare disagi e ripercussioni sul mercato, tuttavia in mancanza di una immediata discesa dei costi energetici bisognerà prendere provvedimenti più drastici».

«Apparteniamo ad una filiera energivora e gasivora in cui già alcuni dei nostri fornitori di acciaio hanno chiuso la produzione. Ci aspettiamo un forte intervento del governo per calmierare i costi energetici e stabilizzare il mercato» è l’appello.

Abs

L’acciaieria di Cargnacco, divisione steel making del gruppo Danieli, fino qui aveva stretto i denti, nonostante i prezzi dell’energia già alti. Dall’8 marzo si è vista costretta a “capitolare”, fermando nell’arco di due giorni praticamente tutti gli impianti.

PETRUSSI DIEGO
PETRUSSI DIEGO

Prima il nuovo laminatoio Wire, quindi le linee Blooming, Saturno e Luna per finire con l’acciaieria e la forgia, mentre per il momento resta in attività il reparto Quality Steel. A spanne il fermo coinvolgerà circa 600 sui 1.200 lavoratori a libro paga di Abs ma un dato preciso, anche rispetto alla durata dell’interruzione, lo si avrà solo con la formalizzazione della richiesta di cassa integrazione, che i sindacati stanno attendendo. 

Aussa Corno 

Nella zona industriale di San Giorgio di Nogaro si concentrano importanti laminatoi come Trametal del gruppo Metinvest, Palini e Bertoli e Marcegaglia Plates del Gruppo Marcegaglia e le Officine Tecnosider di F.lli Cosulich. Quattro siti che, oltre ai problemi legati ai costi energetici, stanno già facendo i conti con la prospettiva di ritrovarsi, nel giro di un mese e mezzo al più, senza materia prima. «In questo momento – riferisce il cislino Alin Stan, reduce da un valzer d’incontri nelle aziende – i siti produttivi stanno lavorando e dovrebbero continuare, più o meno a regime, fino a Pasqua grazie alle scorte di magazzino che nel frattempo andranno integrate». 

Le forniture di bramme, a San Giorgio, arrivavano infatti da Mariupol, città presa d’assalto dai Russi che ora andrà sostituita con altre rotte, altri fornitori. Aggiunge Stan: «Le aziende hanno già iniziato a intessere contatti, il problema sono i tempi di consegna, se tutto andrà bene si incroceranno evitando stop di produzione, fatto salvo qualche giorno che è già nei progetti delle aziende. Ma senza attivazione di alcun ammortizzatore sociale per i circa 1.500 tra dipendenti diretti e indotto. Non dovrebbe essercene bisogno» conclude il sindacalista di Fim Cisl Udine.

Arvedi

Sta alla finestra anche l’acciaieria di Servola a Trieste, di proprietà del gruppo Arvedi. «Si procede alla giornata – fanno sapere fonti vicine all’azienda –, la situazione è fluida». Ergo, niente stop per ora, ma il fantasma del fermo c’è e e il gruppo sta facendo il possibile per allontanarlo «cercando approvvigionamenti alternativi per garantire la prosecuzione delle attività».

Automotive Lighting

Il tema è la supply chain anche alla Automotive Lighting di Tolmezzo. In particolare l’interruzione delle catene di fornitura che passano da Russia e Ucraina e che lo stabilimento carnico del gruppo Marelli, produttore di fanali per alcuni dei marchi premium dell’automobile – da Bmw a Porsche passando per Audi/Volkswagen –, rischia di pagare indirettamente. 

Leonardo Brogioni
Leonardo Brogioni

«Dalla Germania rimbalza in Italia la notizia che i grandi marchi tedeschi dell’auto stiano iniziando a fermare la lavorazione degli ordini a causa dell’interruzione delle forniture di cablaggi che sono realizzati quasi esclusivamente nell’Est Europa e in buona parte proprio in Ucraina dove si trova il primo fornitore dei marchi tedeschi – fa sapere il segretario di Fim Cisl in Alto Friuli, Fabiano Venuti –. Il nostro timore è che questa situazione possa riverberarsi anche su Automotive Lighting considerato che l’azienda fornisce fanali proprio ad alcune tra le aziende clienti di questa grande realtà Ucraina senza contare che alcuni di questi hanno anche impianti nei due Paesi in guerra». Un timore che per ora si traduce nella richiesta di attivazione della cassa integrazione ordinaria dal 14 marzo al 9 aprile per un totale di 837 lavoratori, di cui di cui 568 operai e 269 tra impiegati e quadri, per la significativa riduzione di ordini legati ai principali clienti.

I numeri

Il 7 marzo l’energia elettrica è oscillata da un prezzo medio di 463 euro/Mwh a un picco orario di 593 euro/Mwh (605 euro al nord) e ancora a un minimo di 362 euro/Mwh (417 euro a nord). Prezzi insostenibili che presto si riverbereranno sulla produzione di acciaio, invertendo la curva di crescita che ha interessato il settore lungo tutto il 2021. A certificarla sono i dati sulla produzione elaborati da Federacciai.

Chiuso lo scorso anno con 24,4 milioni di tonnellate di acciaio prodotto, il +19,8% rispetto al 2020 e in crescita anche rispetto al 2019 quando i volumi si erano attestati a 23,2 milioni di tonnellate, il 2022 si è aperto con segno meno: le tonnellate di acciaio prodotte a gennaio sono state 1,8 milioni, -3,9% rispetto allo stesso mese del 2020 e l’attesa, considerati i fermi che sono iniziati nel mese di febbraio per diventare a marzo “La” soluzione, è quella di un’ulteriore contrazione che si vedrà sulle prossime elaborazioni. 

 

 

 

 

 

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