Abi e commercialisti contrari ai revisori di nomina Mef: «Sono incostituzionali»

Nuovo allarme sulla norma contenuta nel disegno di legge di Bilancio sulla presenza di rappresentanti del Tesoro nei collegi di revisione delle società che ricevono contributi pubblici fino a 100 mila euro. Secondo Abi e i Commercialisti: «Esiste il rischio di un cortocircuito normativo, con conseguenze per il tessuto economico

del territorio»

Roberta Paolini
Il presidente dell ABI, Antonio Patuelli
Il presidente dell ABI, Antonio Patuelli

Dopo Confindustria anche l’Abi e i Commercialisti lanciano l’allarme sulla norma contenuta nel disegno di legge Bilancio sulla presenza di rappresentanti del Tesoro nei collegi di revisione delle società che ricevono contributi pubblici fino a 100 mila euro. La norma, è la teoria, rischierebbe di creare un cortocircuito, con conseguenze potenzialmente dannose per il tessuto economico.

Nel mirino, le «incertezze interpretative» e i «profili di incostituzionalità» sollevati dalla disposizione inserita nella legge di bilancio 2025.

Secondo l’Abi, l’interpretazione letterale della norma appare «eccessivamente generica» e potrebbe includere nel suo perimetro anche società private, creando «una sovrapposizione di competenze e responsabilità». L’associazione delle banche italiane ha sollevato il problema nella memoria depositata alla commissione Bilancio della Camera, osservando come la disposizione «introdurrebbe una sorta di doppio binario» tra i sindaci nominati dal Mef e gli altri membri del collegio.

«Tale scenario sarebbe irragionevole – evidenzia l’Abi – soprattutto perché i compiti di monitoraggio e rendicontazione dei contributi pubblici sono già disciplinati dalla normativa vigente, anche sotto il profilo sanzionatorio».

Inoltre, l’estensione alle società private dell’obbligo di rispettare le misure di contenimento della spesa pubblica solleverebbe «evidenti profili di incostituzionalità», risultando «irragionevolmente limitativa della libertà di iniziativa economica», specialmente in un momento in cui sono necessarie nuove spese per l’innovazione tecnologica.

Anche i commercialisti, tramite i vertici nazionali, hanno espresso contrarietà alla norma, chiedendone l’abrogazione durante un’audizione parlamentare.

Riccardo Borgato, presidente della Conferenza permanente degli Ordini dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili (Odcec) del Triveneto, ha ribadito: «La norma presenta forti dubbi di legittimità costituzionale e risulta incompatibile con le libertà fondamentali dell’ordinamento dell’Unione Europea».

Borgato ha inoltre sottolineato che l’attuale quadro normativo assegna già a professionisti qualificati, come i commercialisti, la vigilanza sulla corretta amministrazione e sugli assetti contabili delle imprese. «Il collegio sindacale e il revisore legale svolgono già in modo indipendente l’attività di controllo, tutelando gli interessi degli stakeholder e del mercato», spiega Borgato. «Affidare il monitoraggio delle risorse pubbliche a nuovi revisori nominati dal Mef rappresenterebbe una deriva normativa di stampo dirigista, lesiva dell’affidabilità e della professionalità di chi già oggi svolge egregiamente questo ruolo».

Un ulteriore nodo irrisolto riguarda la tipologia e l’entità dei contributi pubblici che farebbero scattare l’obbligo della presenza del revisore nominato dal Mef. La soglia minima prevista di 100 mila euro potrebbe includere contributi a fondo perduto, finanziamenti agevolati, crediti d’imposta e incentivi per l’occupazione.

«Resta anche un tema aperto: capire come dovrebbero comportarsi le imprese o le società di capitali o le altre organizzazioni con differente natura giuridica che, pur non avendo l’obbligo del revisore o del collegio sindacale, possano comunque beneficiare dei contributi pubblici significativi» conclude il presidente Borgato. 

 

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