Cipolletta: «In gioco il futuro di Generali. Alla fine prevalga la logica industriale»
L’economista a capo dell’Aifi: «Le divisioni indeboliscono. Si vuole il Leone con più peso? La via è la crescita esterna»
TRIESTE. Innocenzo Cipoletta è presidente dell’Aifi (Associazione Italiana del Private Equity, Venture Capital e Private Debt) e della Febaf ( (Federazione Banche Assicurazioni e Finanze). Economista fra i più conosciuti e apprezzati in Italia nel corso della sua carriera è stato anche presidente delle Ferrovie dello Stato (dal 2006 al 2010), della Marzotto (dal 2000 al 2003) e direttore generale di Confindustria dal 1990 al 2000.
Professor Cipolletta, il futuro di Generali, una delle poche, vere e ultime multinazionali del nostro Paese, è legato alla contesa aperta tra due schieramenti nazionali. Che idea si è fatto dell’offensiva di Del Vecchio e Caltagirone?
«Il fatto che si sia aperta una discussione fra i grandi soci sul futuro di una grande azienda dove si contrappongono progetti alternativi di crescita mi sembra positivo. Giunti a questo punto sarebbe necessario però capire meglio quali sono gli obiettivi dei due schieramenti. Servirebbe chiarezza sulle strategie e sul management che verrebbe chiamato a realizzarle. Ecco perchè l’attuale discussione sulla formazione del consiglio d’amministrazione diventa cruciale».
Per la prima volta a Trieste la lista di maggioranza per il rinnovo del cda nell’assemblea di aprile non sarà presentata dagli attuali azionisti ma dallo stesso board delle Generali. Una sfida che si gioca sulla governo della compagnia.
«La chiave sarà capire come i soci dissidenti intendono ora portare a termine il loro piano. Tutto dipenderà molto dalle scelte che faranno Caltagirone e Del Vecchio. L’eventuale presentazione di una lista alternativa per il board contrapposta a quella del cda e di un ipotetico piano industriale alternativo a quello del management potrebbero diventare importanti per capire come si intende realizzare questa visione».
A suo avviso cosa muove i due imprenditori?
«I due grandi soci dissidenti sembrano puntare a un radicale cambio di strategia per accelerare la crescita della compagnia triestina. Alla base di questa visione ci sarebbe una insoddisfazione per le dimensioni in termini di capitalizzazione del Leone rispetto ai rivali europei come Allianz o Axa. Mi sembra di capire che stiano cercando di rilanciare un modello di crescita che sarebbe realizzabile solo per vie esterne. Ma per raggiungere questo obiettivo, come sa bene un industriale come Leonardo Del Vecchio che ha portato a termine con successo la grande fusione in Francia fra Essilor e Luxottica, non ci sono molte strade alternative a quella della fusione o aggregazione col risultato però di diluire gli attuali azionisti».
La Mediobanca di Cuccia e di Vincenzo Maranghi però non c’è più.
«Oggi Mediobanca mi sembra molto diversa dal passato quando veniva chiamata il salotto buono. Sebbene sia ancora il primo socio delle Generali con il 13%, oggi è una banca d’affari normale e non si trova più al centro delle relazioni industriali del Paese. Non dimentichiamo invece che le Generali hanno in portafoglio circa 60 miliardi di titoli di Stato che la rendono ancora l’unico vero crocevia finanziario in Italia».
Come finirà questa contesa?
«Un cda diviso rischia di depotenziare una grande azienda. Come ho detto sarà importante che alla fine prevalga un indirizzo e una visione industriale precisa».
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