Da Delfin a Caltagirone: gli incroci azionari nella grande partita del risiko bancario

I due soci privati sono tra i principali azionisti di Piazzetta Cuccia oltre che del Leone di Trieste e sono entrati nel capitale del Monte

Luigi Dell'Olio

«Articolo quinto: chi ha i soldi, ha vinto». Chi ha conosciuto da vicino Enrico Cuccia, baricentro della finanza italiana per almeno 40 anni, ricorda che spesso era questa la frase con la quale metteva la parola fine a settimane, se non mesi di riunioni, trattative, alleanze e rotture.

In un contesto come quello del Secondo dopoguerra, con l’Italia in ginocchio per l’eredità del ventennio mussoliniano e le distruzioni del conflitto che aveva lasciato in eredità poca liquidità in circolazione e scarsi capitali nelle imprese, Cuccia diede vita a un sistema capace di proiettare l’Italia nel novero delle grandi potenze economiche grazie all’intreccio delle partecipazioni tra imprese e istituzioni finanziarie.

Con la globalizzazione prima e la grande crisi finanziaria quel sistema sembrava sepolto, salvo scoprire che sopravvive ancora oggi seppure con altre forme. I patti di sindacato hanno lasciato spazio a una serie di partecipazioni incrociate tra i grandi gruppi finanziari.

Uno dei passaggi cruciali degli ultimi mesi è stata la discesa del Tesoro nel capitale di Mps, avvenuta a metà novembre. Si attendeva il collocamento del 7% e invece si è optato per il 15% a fronte di una domanda elevata. Nell’occasione, l’attenzione si concentrò sull’ingresso nel capitale di Siena da parte di Banco Bpm (con il 5%) e sul rafforzamento di Anima (dall’1% al 4%), quest’ultima storico alleato nella bancassicurazione del Monte e da qualche mese oggetto di un’offerta di acquisto lanciata dalla banca guidata da Giuseppe Castagna.

L’altro 7% finì diviso tra la Delfin (holding degli eredi Del Vecchio) e Francesco Gaetano Caltagirone, fino al 2012 vicepresidente di Mps. Da quel momento le due famiglie imprenditoriali hanno continuato ad accumulare azioni e oggi sono il secondo e il terzo azionista di Siena dopo il Tesoro (11,7%), con Delfin al 9,9% del capitale e Caltagirone al 5%.

I due sono anche i due soci privati più forti di Mediobanca (19,9% la holding e 7,7% l’imprenditore romano), anche se finora sono stati all’opposizione del ceo Alberto Nagel, appoggiato dai fondi internazionali azionisti. Sta di fatto che le due famiglie imprenditoriali, in caso di successo dell’offerta avanzata da Mps, avrebbero rispettivamente il 15,8% e il 6,7% della nuova realtà, pari a un 22,5% cumulativo, di fatto diluendosi molto meno dei fondi. A quel punto cercheranno di modificare gli equilibri dentro Piazzetta Cuccia, che a sua volta è il primo azionista di Generali con il 13,10% del capitale.

Anche nel Leone di Trieste sono presenti sia Delfin (9,93%), che Caltagirone (7%) e anche in questo caso finora sono stati all’opposizione del ceo Philippe Donnet, supportato da Mediobanca e dai fondi internazionali. Con la mossa Mps-Mediobanca, si potrebbe produrre, in caso di successo, un effetto a cascata in grado di proiettare i due soci privati al centro della scena non solo finanziaria del Paese.

La sensazione diffusa tra gli addetti ai lavori è che Delfin e Caltagirone godano di una sostanziale fiducia da parte del governo Meloni, mentre vari esponenti dell’esecutivo si sono mostrati critici verso UniCredit sia quando è cresciuta nel capitale di Commerzbank, sia quando ha presentato l’Offerta pubblica di acquisto e scambio per Banco Bpm, sollevando critiche sulla presunta “non italianità” della banca guidata da Andrea Orcel. Ma quest’ultimo non sembra voler fare marcia indietro, come ribadito in occasione del World Economic Forum: appare difficile immaginare che Orcel abbia potuto progettare il doppio affondo senza aver consultato i suoi soci forti, tra cui – anche qui – la Delfin, che detiene il 2,6% del capitale.

«Su UniCredit abbiamo una plusvalenza del 100%. Abbiamo uno dei migliori amministratori delegati banchieri credo al mondo», ha dichiarato di recente Francesco Milleri. Il quale, evidentemente, non vuole cedere nemmeno su questo fronte.

Cambiano i tempi e i protagonisti, ma il detto resta sempre valido: «Articolo quinto: chi ha i soldi, ha vinto». 

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