Da prodotti per tutti ai nuovi Smart Beta. Così gli Etf diventano più difficili da scegliere

Nati per ridurre i costi, i fondi-indice ora offrono soluzioni più variegate. Nel 2023 gli acquisti netti hanno superato, solo in Europa, i 144 miliardi di euro, il patrimonio gestito i 1.600 miliardi

Luigi Dell’olio

I costi ridotti; l’ampia diversificazione dei sottostanti e la liquidità dell’investimento. Sono i fattori che spiegano il crescente interesse dei risparmiatori verso gli Etf, fondi che replicano l’andamento dell’indice scelto come sottostante, al lordo delle commissioni.

Soluzioni che si distinguono dai fondi comuni, caratterizzati invece dalla gestione attiva affidata a professionisti del settore, che puntano a fare meglio del benchmark indicato: la differenza è che i primi hanno solitamente commissioni di gestione di qualche decimale all’anno, i secondi dall’1 al 2%, e in qualche caso anche di più. Tutto chiaro? Non proprio, dato che in realtà sotto il cappello comune rientrano soluzioni anche molto differenti tra loro.

Per tutte le tasche

Secondo le rilevazioni di Morningstar, il 2023 è stato il secondo miglior anno per gli Etf, con le sottoscrizioni che hanno superato i deflussi per 144 miliardi di euro nella sola Europa. Un peso lo gioca sicuramente la variabile costi, ma anche la possibilità di prendere posizione, con un solo acquisto, su decine, se non centinaia di titoli che compongono un indice, ricorda Antonio Tognoli, responsabile macro analisi di Cfo Sim.

«A questo si aggiunge il fatto che i fondi passivi sono quotati e quindi più facili da liquidare rispetto ai fondi attivi».

Da qui l’indicazione che si tratta di strumenti per tutte le tasche (di solito il taglio minimo è di pochi euro) e varie finalità, «ad esempio per investire in settori o Paesi difficili da raggiungere con l’acquisto di singoli titoli azionari», aggiunge Tognoli.

Per il quale questi strumenti sono adatti in particolare «a chi non ha precedenti esperienze di investimenti azionari e vuole avvicinarsi contenendo i rischi», spiega il manager di Cfo Sim. Il quale invita, poi, a non sottovalutare i rischi. «Scegliere l’Etf giusto richiede una buona conoscenza del mercato finanziario rispetto a quella posseduta dalla maggior parte degli investitori al dettaglio».

Ci sono anche altri fattori che propendono a favore dell’investimento in cloni finanziari. Innanzitutto la trasparenza, ricorda Thomas Avolio, deputy ceo e principal di Redfish Listing Partners, dato che la maggior parte degli Etf rende pubbliche le proprie partecipazioni quotidianamente. Il che consente di comprendere se il fondo rimane in linea con i propri obiettivi di investimento e il proprio livello di sopportazione dei rischi. Questo almeno in teoria, dato che in concreto un’analisi di questo tipo è tutt’altro che agevole per i non addetti ai lavori.

Entra in gioco l’algoritmo

Un altro pro è l’accessibilità, che si concretizza nella possibilità di investire in svariate classi di attività, settori e temi, in modo da personalizzare il proprio portafoglio in base a specifici obiettivi di investimento e preferenze di rischio.

«Le gestioni attive sono guidate da manager che prendono esposizioni sulla base delle loro view: un mix di tecniche quantitative e selezioni discrezionali (a seconda del fondo), che presentano costi di sottoscrizione una tantum e costi annui ricorrenti. Questo si riflette sulla redditività effettiva, con oltre il 90% dei fondi a gestione attiva che rende meno del benchmark di riferimento», è l’analisi di Avolio. «Se si guarda a tutte le categorie dei fondi, c’è una forte dispersione dei rendimenti annuali tra migliori e peggiori, per cui il risultato finale dipende dal fondo prescelto».

Questo non vale per gli Etf, dove i rendimenti tra soluzioni che hanno il medesimo benchmark sono minori. Anche se parlare in termini generali è inevitabilmente approssimativo, dato che nel tempo sotto il medesimo cappello si sono sviluppate soluzioni anche diverse tra loro. Così accanto agli Etf con replica fisica (che acquistano direttamente i titoli sottostanti), ci sono quelli che ricorrono alla replica sintetica, che si concretizza attraverso l’acquisto di contratti swap (strumenti finanziari derivati) e questo espone al rischio di controparte.

Ci sono i cloni finanziari che investono nell’azionario, così come quelli che puntano sui bond e altri ancora sulle commodity. Negli ultimi tempi si sono fatti strada anche gli Etf Smart Beta, una via di mezzo tra fondi attivi e passivi, con la movimentazione di portafoglio che c’è, anche se limitata e gestita da un algoritmo secondo le indicazioni fissate al momento del lancio dell’Etf.

Primum diversificare

Qualche esempio delle strategie Smart Beta può aiutare a comprendere meglio il loro funzionamento: gli Etf equally weighted (nei quali i pesi dei titoli sottostanti sono identici tra loro, senza considerare la capitalizzazione di mercato) e gli Etf factor based (la ponderazione è fatta in base a fattori specifici come componenti di bilancio, multipli o dimensioni aziendali). Più ci si addentra in soluzioni specifiche, tanto più occorrerebbe possedere competenze in campo finanziario per poter valutare pro e contro dell’investimento non solo in termini assoluti, ma alla luce delle proprie caratteristiche.

Tornando agli Etf in generale, il fatto di seguire pedissequamente l’indice comporta di replicare la performance del sottostante, senza possibilità di fare meglio tanto nelle fasi di ciclo positivo, quanto in quelle di contrazione del ciclo. Per altro, ricorda Tognoli, alcuni Etf non rispecchiano esattamente il benchmark sottostante, il che suggerisce di leggere con grande attenzione i documenti pre-contrattuali.

Avolio conclude ricordando che un’adeguata pianificazione richiede soluzioni d’investimento diversificate, quindi con strumento di gestione attiva e gestione che possono convivere nel medesimo portafoglio, al pari di differenti asset class e stili di gestione.

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