Fondi obbligazionari e titoli di Stato. Come cavalcare la discesa dei tassi
I pro e i contro dei due investimenti, in vista dell’allentamento della Bce

Non solo per finalità di protezione del portafoglio, ma anche nell’ottica del rendimento. Tra i gestori e gli analisti c’è grande interesse in questo periodo verso il reddito fisso sia alla luce delle cedole offerte, sia nella prospettiva di un taglio dei tassi ufficiali, che porterebbe a una rivalutazione dei titoli già in circolazione. Il successo del BTp Valore, il cui collocamento si è concluso venerdì con una raccolta di 18,3 miliardi di euro, ha confermato l’interesse in questa direzione, ma anche la domanda di emissioni aziendali resta sostenuta.
Cosa è meglio scegliere oggi tra acquisto diretto di un bond e sottoscrizione di un fondo obbligazionario? È il quesito che in tanti si pongono, anche se sarebbe più corretto adottare un’altra prospettiva: come investitore sono più interessato a incassare le cedole, senza guardare alle oscillazioni di prezzo del titolo, oppure a puntare sulla crescita di valore in ottica di allentamento monetario, per poi vendere incassando una plusvalenza? Se ragioniamo in linea di principio, nel primo caso potrebbe andar bene il fai da te, che nel secondo è invece adatto solo a chi ha una certa dimestichezza con i mercati finanziari e tempo da dedicarvi. Cerchiamo di capire meglio le dinamiche che influenzano il reddito fisso.
il possibile capital gain
«Per sfruttare la prossima possibile riduzione dei tassi di interesse, il risparmiatore potrebbe puntare su titoli a tasso fisso come i Btp con scadenze medio lunghe oppure affidarsi a un gestore attraverso l’acquisto di un fondo», spiega Mauro Buso, consulente finanziario di Gamma Capital Markets. Il quale ricorda che maggiore è la durata dei titoli, maggiore è il beneficio che si può trarre da una riduzione dei tassi. «Ma va anche ricordato che i titoli di Stato e le obbligazioni vengono rimborsati al valore nominale (100, ndr), ragione per la quale utilizzare i singoli titoli comporta dover decidere quando consolidare la plusvalenza e questo solitamente va fatto in seguito a un’analisi di mercato o qualora si raggiunga un obiettivo di guadagno che si ritiene congruo», aggiunge. Mentre, scegliendo un fondo, si affida al gestore la movimentazione di portafoglio. «Con questa soluzione, l’investitore anche non troppo esperto ha la possibilità di beneficiare della situazione senza doversi preoccupare di fare scelte che richiederebbero una certa preparazione», sottolinea Buso.
Quanto alla tipologia di bond, un elemento di valutazione è dato dalla fiscalità relativa ai sottostanti. Su Bot, Btp e simili, il prelievo sui guadagni è del 12,5%, mentre per le emissioni societarie (al pari delle azioni), l’aliquota è del 26%. Una maggiorazione che può fare la differenza e che vale tanto per i singoli titoli, sia per l’acquisto di strumenti del risparmio gestito.
«Nel momento in cui si sceglie di investire, è bene pianificare alla luce di tre variabili: la conoscenza dello strumento, gli obiettivi temporali e lo zainetto fiscale, se ci sono cioè minusvalenze da recuperare», sottolinea Buso. Quanto al primo punto, ogni titolo obbligazionario espone al rischio di credito dell’emittente, che tendenzialmente è più elevato per le singole aziende rispetto agli Stati. «La scelta di investimento in titoli singoli è indispensabile qualora ci siano delle minusvalenze da recuperare a scadenza, acquistando dei titoli sotto 100, oggi presenti sul mercato», aggiunge. Il riferimento è alla normativa, che consente di compensare guadagni e perdite alla scadenza quadriennale, senza offrire la medesima possibilità agli strumenti del risparmio gestito.
attenzione ai prospetti
Rispetto agli acquisti singoli, i fondi comuni obbligazionari offrono il vantaggio della diversificazione dei sottostanti e – al loro interno – si differenziano tra quelli che distribuiscono cedole periodiche e quelli che le reinvestono, segnala Gian Marco Salcioli, strategist di Assiom Forex. Questo per dire che sotto il medesimo cappello rientrano soluzioni anche molto diverse tra loro. Per altro, occorrerebbe leggere con attenzione il prospettivo informativo per capire se le cedole vengono distribuite anche al di là della crescita del rendimento, quindi andando a intaccare la quota di capitale (in questo caso vale come un riscatto parziale).
La soluzione del fai da te o di un fondo con distribuzione delle cedole può risultare preferibile dall’investitore che ha bisogno del flusso cedolare, ad esempio per onorare il pagamento di una rata. Se invece le somme vengono depositate sul conto corrente, diventano improduttive, mentre in un fondo che capitalizza le cedole, queste ultime vengono reinvestite. Il che può avere un impatto importante soprattutto nelle fasi di inflazione elevata, che tende a erodere il valore reale del patrimonio.
il fattore commissioni
La gestione del fondo è affidata a un professionista che, alla luce delle sue competenze, dovrebbe puntare a massimizzare il rendimento, anche se in concreto questo spesso non avviene, considerato che occorre fare i conti sia con una serie di costi. «Il fai da te ad opera di un non professionista comporta non solo limiti di competenza, ma anche di tempo da dedicare agli investimenti», rileva Salcioli. «Il monitoraggio ha un costo che può essere anche importante, così come l’eventuale, limitata diversificazione», aggiunge. I fondi obbligazionari italiani possono fornire una maggiore diversificazione rispetto al fai da te e una certa flessibilità per quanto riguarda le scadenze, ma occhio ai costi, che in questa categoria di solito. «Gli obbligazionari italiani prevedono una commissione annua di gestione solitamente compresa tra l’1 e l’1,25%, un livello che può incidere pesantemente sulla performance finale», sottolinea Buso.
«Spesso i fondi prevedono anche commissioni di ingresso e performance fee, con queste ultime che scattano al raggiungimento di una soglia di rendimento predefinita», aggiunge Salcioli. Il quale invita a prestare attenzione, nella lettura del foglio informativo, anche all’eventuale presenza di una exit fee, che «si applica in alcuni fondi per chi non ha rispettato un vincolo minimo temporale di permanenza nel fondo, e costi vari, di solito da spese varie o commissioni di custodia e distribuzione».
Detto delle variabili da considerare, è pur vero che le stesse sono troppo complicate per la maggior parte dei risparmiatori e dei piccoli investitori. Affidarsi a un consulente finanziario, possibilmente senza conflitti di interesse, potrebbe essere la soluzione, senza dimenticare che anche questa opzione ha dei costi, che vanno tenuti in conto.
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