Generali, Caltagirone-Del Vecchio affilano le armi e preparano l’affondo al vertice del Leone

I pattisti: il mercato è rimasto tiepido all’annuncio del piano di Donnet. Il fronte dei soci industriali dovrà ora guadagnare il consenso dei grandi fondi internazionali

Francesco Gaetano Caltagirone
Francesco Gaetano Caltagirone

TRIESTE. Se fosse una partita di calcio, gli sfidanti sarebbero in una situazione di indubbio vantaggio: il padrone di casa ha già annunciato la propria strategia di attacco e ora si espone al gioco di rimessa. In realtà la battaglia che si gioca sul futuro di Generali somiglia più a un beauty contest, nel quale i contendenti devono convincere la giuria, composta dai grandi fondi internazionali e dai piccoli azionisti, che la propria proposta è migliore della concorrente.

La data del giudizio è fissata per 29 aprile prossimo, quando i soci si riuniranno per l’assemblea annuale, chiamata tra le altre cose a scegliere il board per i prossimi tre anni. Per il momento la cordata Mediobanca-De Agostini ha un leggero vantaggio, potendo contare su diritti di voto pari al 18,69% del capitale contro il 15,67% del trio composto da Francesco Gaetano Caltagirone, Leonardo Del Vecchio e Fondazione Crt, ma è pur vero che i due imprenditori continuano ad accumulare titoli e verosimilmente all’assise di primavera si arriverà a una situazione di sostanziale equilibrio. Ieri è emerso che Caltagirone ha comprato ancora azioni Generali e si è porta al 7,9%.

Ecco che allora risulterà decisivo soprattutto quel 35,98% del capitale che fa capo agli investitori istituzionali, tra società del risparmio gestito (a cominciare da Vanguard e BlackRock, che sono i primi due operatori al mondo), fondi sovrani (a partire dal più grande di tutti, il Government Pension Fund Global norvegese), casse di previdenza e fondi pensione, oltre al 22,74% in mano al retail, che però costituisce una categoria molto frammentata e il cui tasso di partecipazione non è atteso su livelli elevati, soprattutto se la prossima primavera verranno confermate le restrizioni alle presenze in assemblea introdotte allo scoppio della pandemia.

I primi report degli analisti promuovono il piano. Kepler Cheuvreaux parla di “obiettivi ambiziosi” e indica un target price di 21 euro (13% di potenziale rivalutazione rispetto all’ultima chiusura), mentre Citi fissa l’asticella a 21,2 euro dopo aver letto nel piano obiettivi di progresso dell’utile per azione superiori alle proprie aspettative.

È pur vero, però, che il titolo ha chiuso la seduta del 15 dicembre 2021 a Piazza Affari senza scossoni, mettendo a segno un +0,27% rispetto alla vigilia contro il +0,41% del Ftse Mib. Segno che il mercato non è stato sorpreso dagli annunci (del piano di Donnet), per altro in buona parte a conferma delle indiscrezioni circolate nei giorni precedenti. «Il mercato sta dando un primo commento al piano di Generali», ha commentato in merito una fonte del patto che tiene uniti Caltagirone, Del Vecchio e Fondazione Crt.

Ora toccherà agli sfidanti uscire allo scoperto, con un progetto di crescita alternativo e una propria lista di candidati al cda: due passaggi fondamentali per cercare di convincere il mercato. Dovranno mettere a punto una squadra di primissimo livello (convincendo anche figure con elevato standing sul mercato a far spendere il proprio nome in una battaglia che si annuncia tutt’altro che facile) e, al contempo, dar vita a un piano più ambizioso rispetto a quello presentato da Donnet, che risulti anche credibile. Infatti, quest’ultimo ha sempre rispettato le promesse fatte al mercato, per cui gode di grande credibilità tra gli investitori.

Una differenzia sostanziale potrebbe riguardare il capitolo m&a: nel nuovo piano il manager francese indica una disponibilità tra i 2 e i 3 miliardi di euro, non certo una somma in grado di concretizzare una grande acquisizione, magari in Asia, che è l’area con il maggiore potenziale di crescita. Vale per il comparto assicurativo danni e vita, e a maggior ragione per il risparmio gestito, dallo scorso piano industriale diventato un asse portante della crescita per il gruppo triestino. Che in passato non ha affondato quando sul mercato sono finite realtà importanti come Anima e Pioneer, preferendo piuttosto la politica dei piccoli passi che ha portato a rilevare piccole realtà con una forte specializzazione in segmenti di nicchia.

Per effettuare grandi acquisizioni occorrono, però, capitali importanti, reperibili con un rafforzamento patrimoniale o magari una riduzione dei dividendi ai soci. Due prospettive non semplici da far accettare agli altri azionisti. 

Riproduzione riservata © il Nord Est