Generali, cda diviso sul dossier malese: i dubbi di Caltagirone e Del Vecchio
TRIESTE. Il consiglio delle Generali si è diviso sul rafforzamento in Malesia. Da una parte, secondo quanto riferisce il Sole 24 Ore, gli otto consiglieri più vicini a Mediobanca che hanno votato a favore e dall’altra quattro fra astenuti e contrari. Grande assente Francesco Gaetano Caltagirone che ha inviato una lettera in cui chiede di strappare condizioni migliori.
Nella ricostruzione del Sole sul fronte del “no” si sarebbero schierati Romolo Bardin, amministratore delegato di Delfin e rappresentante di Del Vecchio nel cda, Paolo Di Benedetto e Antonella Mei Pochtler, la top manager di origine italiana esperta di digitale e nel think thank del cancelliere austriaco Sebastian Kurz. Sempre secondo il resoconto del Sole Sabrina Pucci si è astenuta.
Non sono chiari i motivi della spaccatura. Sembra che da parte di alcuni grandi soci siano emerse perplessità di tipo industriale sul mercato malese considerato a bassa crescita e ad alto rischio. L’operazione, già passata al vaglio del comitato strategico, comporterebbe l’esborso di 300 milioni per le attività Danni di Axa, che vorrebbe vendere anche il Vita. Questo non sarebbe il primo caso di frizione nel cda del Leone. C’è chi ricorda il mancato passaggio di Banca Generali dal gruppo assicurativo triestino a Mediobanca.
Sul fronte della governance del gruppo il vero confronto inizierà però fra un anno quando si deciderà sul rinnovo del consiglio in scadenza e la riconferma di Philippe Donnet. Caltagirone, vicepresidente vicario del Leone, si è rafforzato sull’asse Milano-Trieste. L’immobiliarista, editore e costruttore romano controlla il 5,63% del gruppo triestino, secondo azionista dopo Mediobanca (socio forte con il 12,93%) e davanti a Leonardo Del Vecchio con il 4,84%. Anche la mossa di entrare con un colpo a sorpresa nel capitale di Mediobanca comprando l’1,014% è stata interpretata dal mercato come la volontà di tutelare il proprio investimento nelle Generali.
Leonardo Del Vecchio è diventato il primo azionista con il 13,2% ma pronto a salire al 19,999% dopo avere ottenuto l’autorizzazione da parte della Bce. I due grandi soci del Leone vorrebbero un rilancio in grande stile a colpi di acquisizioni. Magari per aumentare peso e capitalizzazione rispetto ai francesi di Axa e i tedeschi di Allianz. Ma senza compromettere l’italianità del Leone. In primis c’è la necessità di tutelare il proprio investimento.
Caltagirone ha definito l’attuale cda come «l’espressione del mondo delle Generali di tre anni fa ma nel frattempo qualcosa è cambiato». Un possibile riferimento al fatto che se in passato era Mediobanca a guidare le strategie del Leone e a stilare la lista di maggioranza fra un anno potrebbe non essere più così. L’istituto di Alberto Nagel nel frattempo ha cambiato natura e non è più l’antica stanza di compensazione del capitalismo Made in Italy.
Resta la quota strategica nelle Generali che, compiuti i 190 anni, sono la vera regina sullo scacchiere della finanza italiana. Il prossimo anno, dopo la riforma della governance, il cda del Leone potrà stilare una lista propria per il rinnovo del cda. Novità di rilievo considerando la natura di public company del gruppo triestino con un 40% in mano agli investitori istituzionali e il 20% a una platea di migliaia di risparmiatori. Il ceo Philippe Donnet confida di centrare in questo ultimo anno gli obiettivi del piano triennale, da cui dipenderà in parte la sua eventuale riconferma. E ha già cominciato a lavorare al nuovo piano strategico. Il Ceo ha 2 miliardi per nuove acquisizioni. «Io mi sento sempre sotto esame» ha detto il manager francese.
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