Generali: «Con Natixis al sicuro i risparmi italiani»
Il Leone di Trieste torna a chiarire i contorni dell’operazione con i francesi: «Non si determinerebbe alcun trasferimento di valore fuori dall’Italia»
«La nascita della joint venture non avrebbe alcuna ripercussione sulla continuità delle politiche di gestione del risparmio affidato dagli italiani alle compagnie del gruppo, che rimangono proprietarie degli attivi e ne decidono l’allocazione tra le diverse strategie di investimento».
Con queste parole, inserite in un lungo comunicato finalizzato a fornire «ulteriori indicazioni sulla logica strategica e su alcuni elementi rilevanti degli accordi sottoscritti tra le parti», Generali ha voluto rassicurare governo e azionisti sulla bontà della joint venture nel risparmio gestito tra la sua Generali Investment Holding e la francese Natixis. E lo fa sull’argomento più sensibile per i detrattori che hanno espresso timori sul fatto che Generali, dopo l’operazione, non sarebbe più stato un grande acquirente di titoli di Stato, che oggi detengono per circa 37 miliardi di euro.
«Ciascuno dei due soci», prosegue il comunicato, «manterrà il potere decisionale pieno ed esclusivo sui propri attivi assegnati in gestione alla joint venture. Ciò significa che Generali e il suo consiglio di amministrazione – proprio come avviene oggi – continueranno a definire le linee guida strategiche di investimento e l’asset allocation per l’intero gruppo». E i vertici del Leone di Trieste vogliono chiarire anche un aspetto su cui governo e alcuni azionisti avevano fatto leva per criticare l’operazione, ossia l’aspetto fiscale. «Non si determinerebbe alcun trasferimento di valore fuori dall’Italia», aggiunge la nota di Generali, «e non si avrebbe, come effetto, una riduzione delle imposte assolte in Italia. È anzi plausibile che l’onere fiscale italiano aumenti, quantomeno per effetto di due fattori: la creazione di un altro livello nella catena societaria in Italia, con conseguente ulteriore tassazione dei dividendi, e l’aumento dei dividendi previsti per Generali per effetto della creazione di valore generato dalla joint venture».
Messe in chiaro le due questioni più politiche, il Leone affronta nel dettaglio i vantaggi finanziari dell’accordo con Natixis che, una volta concluso, «si tradurrebbe in un profitto netto di realizzo a favore del gruppo Generali stimato nell’ordine di un miliardo di euro, che sarebbe comunque neutrale ai fini dell’utile netto rettificato di gruppo». Come già più volte annunciato, la nuova società «metterebbe assieme le attività di asset management facenti capo, rispettivamente, a Generali Investments Holding e a Nim, portando alla creazione di un operatore globale da 1,9 miliardi di euro di masse gestite, al nono posto a livello mondiale e leader nell’asset management in Europa con 4,1 miliardi di ricavi. La società risultante sarebbe controllata in modo condiviso dalle due istituzioni finanziarie, ciascuna con una quota del 50% – operando con una struttura di governance congiunta e secondo criteri paritetici di rappresentanza e controllo».
Difficile però che governo e grandi azionisti, in primis Caltagirone e Delfin, si accontentino delle rassicurazioni sul risparmio degli italiani. Soprattutto ora che sono impegnati a provare a ridisegnare la mappa del potere finanziario italiano, da Mediobanca fino a Trieste.
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