Generali, la vittoria di Donnet: «La crescita continuerà. Trieste è la nostra casa»
Donnet ha rassicurato così i piccoli azionisti della compagnia a sull’impegno del Leone in città: «Trieste resta la nostra casa. Per continuare a crescere dobbiamo sempre ricordarci chi siamo e da dove veniamo. Questa città avrà un ruolo fondamentale per le Generali anche nei prossimi anni»
TRIESTE. «Trieste resta la nostra casa. Per continuare a crescere dobbiamo sempre ricordarci chi siamo e da dove veniamo. Questa città avrà un ruolo fondamentale per le Generali anche nei prossimi anni»: Philippe Donnet, il rugbista-zen che sarà riconfermato Ceo dal nuovo board eletto ieri dall’assemblea delle Generali, nel giorno più impegnativo della sua carriera di manager a Trieste, rassicura l’invisibile platea dei piccoli azionisti triestini collegata via streaming per fugare ogni dubbio su un possibile disimpegno della compagnia dalla città.
Qualche apprensione c’era guardando alle celebrazioni veneziane per il restauro delle Procuratie all’ombra del Leone di San Marco (quello veneziano). La Trieste che ha assistito non senza apprensione alla battaglia fra i due Leoni aveva bisogno di qualche rassicurazione in più.
Per rafforzare il concetto Donnet ha ricordato che il gruppo investirà ancora sulla città, dopo gli interventi fatti negli ultimi anni e in particolare la ristrutturazione di Palazzo Berlam sede della Academy e l’inaugurazione dell’Archivio storico della compagnia nei suoi 190 anni. Si tratta del sancta sanctorum dei documenti che raccontano l’attività e la storia delle Generali nell’ultimo secolo.
E forse è stato facendo esperienza della storia, a volte anche turbolenta, della compagnia triestina che il rugbista Philippe Donnet è arrivato a conquistare anche il terzo mandato. Un verdetto atteso dopo mesi di controversie fra la lista di maggioranza presentata dal board uscente appoggiata da Mediobanca e De Agostini (con il 17,2% del capitale la prima e l’1,44% il secondo), e quella concorrente messa in campo dal gruppo Caltagirone, sostenuta dalla Delfin di Leonardo del Vecchio (ciascuno dei due imprenditori sfiora il 10%) e Fondazione Crt (1,73%).
Approdato a Trieste nel 2013 come Country Manager Italia e Ceo di Generali Italia, in quel ruolo ha gestito il processo di riassetto dei marchi del Gruppo Generali esistenti in Italia. Al centro di una delle più aspre contese sulla governance della compagnia, il francese Zen non ha mai rinunciato alla sua forza tranquilla dove applica i valori fondamentali del rugby come il lavoro di squadra e la disciplina al suo stile manageriale: «Se hai paura prima della partita, hai perso. Se sottovaluti la squadra avversaria, verrai anche battuto. Devi prendere sul serio gli avversari, senza averne paura».
Si direbbe che sia stato questo il suo atteggiamento anche ieri. Alla vigilia dell’assemblea ha incontrato i consiglieri senza mostrare la minima apprensione e sicuro del vantaggio. Al presidente Galateri, che lascia il suo ruolo di garante dopo dieci anni, è stato dedicato un ricevimento di saluto al quale hanno partecipato esponenti del mondo triestino della politica e dell’economia, dal governatore Massimiliano Fedriga alla parlamentare Debora Serracchiani. Donnet ha garantito che per Galateri ci sarebbe stato sempre un ufficio riservato nella sede della compagnia.
Al termine del voto di ieri, che ha premiato la lista del cda, è possibile (ma vanno interpretate le mappe della consultazione) che i piccoli azionisti triestini abbiamo fatto sentire la propria voce. In città lavorano fra Banca Generali e Genertel circa un migliaio dei 13 mila dipendenti in Italia. Certo, sono soprattutto i grandi soci i soggetti autentici nella governance della compagnia da sempre considerata il vero crocevia finanziario e cassaforte del Paese in questo conflitto senza precedenti.
Ma forse questa volta Trieste non è stata silente o disinteressata. Caltagirone e Del Vecchio vogliono un Leone più “pesante” in Europa. Ed è probabile che questa controversia non sia finita. Di fatto sta producendo onde sismiche che Trieste sta vivendo non senza apprensione.
Guardando al profilo industriale, con Donnet al timone, il gruppo triestino ha centrato tutti gli obiettivi annunciati negli ultimi due piani strategici triennali. Il programma sul quale la lista del Cda che ricandida il Ceo francese promette dividendi fino a 5,6 miliardi in tre anni, una dote molto superiore rispetto ai 4,5 miliardi del precedente piano. Donnet considera una sua missione migliorare «solidità e reputazione di Generali». Di fatto oggi un gruppo che vale 75 miliardi di premi presente in una cinquantina di Paesi.
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