I tassi negativi e il costo di tenere il denaro in conto corrente: l’analisi e le contromosse
Renato Viero, CFA di RV Capital Partners: «Le banche potrebbero applicare spese di gestione della liquidità commisurate alle giacenze anche alle persone fisiche»
VICENZA. Cosa sono i tassi di interesse negativi e perché costa tenere il denaro nel conto corrente. Ce lo spiega Renato Viero, Chartered financial analyst di RV Capital Partners.
«Fino ad oggi l’Italia si è salvata dallo spettro dei tassi negativi applicati ai conti correnti ma le cose stanno cambiando rapidamente. Anche nel nostro paese infatti le banche si stanno adeguando al trend in atto in altri paesi in particolare dell’area Euro dove i tassi sono più bassi che altrove.
I tassi d’interesse negativi sono particolarmente deleteri per i titoli del settore finanziario dato che le banche vedono i propri margini ridursi drasticamente.
Dal 2014 in poi i tassi sono stati ridotti a livelli negativi dalla BCE (Banca Centrale Europea) e anche il tasso di riferimento per le banche, il Deposit Facility Rate (DFR), è entrato in territorio negativo dal giugno 2014.
Un DFR negativo implicata un costo per le banche nella detenzione di liquidità presso la BCE e una riduzione diretta della profittabilità.
Questo il motivo principale della sottoperformance del settore negli ultimi anni di costante ribasso dei tassi da parte delle banche centrali.
Ma uno dei modi che hanno le banche per recuperare profitto, almeno in parte, è quello di trovare fonti alternative di redditività come appunto l’applicazione di spese e tassi negativi alla liquidità nei conti correnti.
Quello che sembrava inimmaginabile fino a qualche anno fa è oggi una realtà e le cose si stanno evolvendo».
La situazione sui tassi di interesse in Italia oggi
«Nel nostro paese per ora nessun intermediario ha deciso di applicare un vero e proprio tasso negativo ai clienti persone fisiche ma vari istituti di credito applicano spese di gestione della liquidità commisurate alle giacenze ai clienti persone giuridiche inducendo quindi ad un utilizzo della liquidità “ferma” nel conto corrente.
Una prospettiva che potrebbe in futuro colpire anche i risparmiatori (le persone fisiche) e che segna un cambiamento importante. Per quel che riguarda i clienti persone fisiche, i risparmiatori, in questi mesi sono state molte le proposte di modifica unilaterale del contratto inviate dagli intermediari.
Le banche infatti si danno la possibilità di rescindere dal contratto ove non si preveda la possibilità di inserimento di spese in caso di liquidità in eccesso.
Un caso interessante è quello di Fineco Bank che in una lettera ai consumatori ha introdotto la possibilità di recedere dal contratto qualora il cliente nei tre mesi precedenti:
1.abbia più di 100.000 euro in liquidità (giacenza media),
2.non abbia alcuna forma di finanziamento e
3.non detenga nessun prodotto di investimento.
Una scelta logica dato il contesto attuale.
Un cliente che ha molta liquidità, non utilizza forme di finanziamento e non investe in nessun prodotto è un cliente che oggi più che mai rappresenta solamente un costo per l’intermediario.
Nei casi invece in cui vengono già applicate spese di gestione della liquidità, i conti delle persone giuridiche, esse ammontano allo 0.5% annuo circa della giacenza media. Un conto di 200.000 euro andrà quindi a costare circa 1.000 all’anno».
Conclusioni
«Parlo spesso nei miei articoli della necessità di investire i risparmi fermi in conto corrente spiegando, alla luce dei dati, quanto costi ai risparmiatori italiani la mancanza di investimento nel lungo periodo.
Non c’è solo il costo del mancato rendimento e quello della perdita del potere d’acquisto a causa dell’inflazione. Oggi se ne aggiunge un terzo: il costo diretto di detenzione della liquidità in conto.
Nei prossimi mesi, e anni, la determinazione dei risparmiatori che tengono i risparmi in liquidità per proteggersi dalla volatilità dei mercati nel breve periodo sarà sempre più messa alla prova dai banchieri centrali e dalla loro capacità di perseguire politiche monetarie espansionistiche.
Politiche espansionistiche che potrebbero cambiare repentinamente in caso di un’accelerazione dell’inflazione oltre i livelli di guardia.
Ma in questo caso il danno per coloro che detengono liquidità sarebbe ancora peggiore perché anche se la liquidità in conto torna a essere a costo zero l’accelerazione dell’inflazione provocherebbe una rapida perdita del potere di acquisto della moneta».
Renato Viero, CFA
RV Capital Partners
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