Le Generali nel mirino, il problema del candidato ad per Caltagirone e Delfin
In vista dell’assemblea dell’8 maggio gli azionisti oppositori potrebbero decidere di aspettare l’esito dell’Ops di Mps su Mediobanca per trovare un manager da contrapporre a Philippe Donnet. Ma con il crollo del titolo in Borsa, l’istituto senese sarà costretto ad aumentare la sua offerta, se vuole convincere gli investitori
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Nella battaglia per il futuro delle Generali ci sono due date da cerchiare in rosso. In ordine d’importanza viene prima quella più in là nel tempo, l’8 maggio. Quel giorno, a Trieste, i soci del colosso assicurativo triestino saranno chiamati a nominare il consiglio di amministrazione per il prossimo triennio. Sarà quello il momento in cui si confronteranno sul campo i due fronti avversi, quello guidato dall’azionista storico Mediobanca, che nel 2022 ha coagulato il voto degli investitori grandi e piccoli portando all’elezione del consiglio presieduto da Andrea Sironi e capitanato dall’amministratore delegato Philippe Donnet, e quello degli azionisti che vogliono ribaltare il comando della compagnia, il costruttore ed editore Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin, la holding della famiglia Del Vecchio.
Qualche indicazione utile sulle forze dei due schieramenti, tuttavia, potrà arrivare già in precedenza, attorno al 13 aprile. Come recita lo statuto, infatti, venticinque giorni prima dell’assemblea scade il termine entro il quale gli azionisti possono presentare una lista di candidati per il consiglio. Se in quel momento Caltagirone oppure Delfin presenteranno una lista piena, con tredici aspiranti consiglieri tra i quali un presidente e un amministratore delegato designati, vorrà dire che ritengono di avere in assemblea i numeri sufficienti per assicurarsi la maggioranza, e nominare il nuovo vertice. In questo caso la battaglia ricalcherebbe quella combattuta tre anni fa, con Caltagirone e Delfin che pensano però di poter tramutare la sconfitta di allora in vittoria.
Un piano industriale da scrive
Per percorrere questa strada, tuttavia, occorre individuare fin da subito un manager di grido che accetti di correre il rischio di candidarsi come amministratore delegato, senza avere la certezza di poter poi effettivamente essere nominato, ma anche presentarsi con un piano industriale da illustrare agli investitori, per convincerli a votare i propri candidati. Per non doversi confrontare subito con la lista che verrà presentata da Mediobanca e che, secondo ogni aspettativa, vedrà schierati ancora Sironi e Donnet, Caltagirone e Delfin dovrebbero sostenere una lista con non più di sei candidati. Dice infatti lo statuto che chi ne presenta una con «un numero di candidati che, se eletti, possano costituire la maggioranza dei componenti del nominando organo amministrativo» (e cioè sette, visto che il consiglio è di tredici) devono indicare i loro nomi per la carica di presidente e per quella di amministratore delegato «a pena di inammissibilità».
All’Ops su Mediobanca mancano almeno 2,3 miliardi
Ecco perché circola una seconda ipotesi, che passa attraverso l’Ops lanciata dal Monte Paschi di Siena su Mediobanca lo scorso 24 gennaio. Mediobanca detiene il 13,1% delle Generali e, se l’operazione ottenesse l’autorizzazione da parte delle autorità di vigilanza e andasse in porto, la conquista del Leone sarebbe cosa fatta, almeno sulla carta, perché con il 9,9% in mano a Delfin e il 6,9% di Caltagirone il mercato non avrebbe più i numeri per contrapporsi al ribaltone.
Su questo scenario, tuttavia, grava il rischio che l’operazione congegnata per far cadere Mediobanca sotto il controllo di Mps non vada come desiderato. Da quando Siena ha lanciato la sua offerta, il divario fra i due titoli si è ampliato in misura notevole: il titolo dell’istituto di Rocca Salimbeni ha perso più dell’11 per cento, mentre quello della banca d’affari ha guadagnato quasi il 10 per cento. Il gap tra il corrispettivo offerto da Mps (23 nuove azioni Mps ogni 10 azioni di Mediobanca) vale ora circa 2,3 miliardi di euro. Se il Monte vorrà andare a segno, dovrebbe dunque alzare in misura considerevole la sua offerta, offrendo agli azionisti della banca d’affari milanese un premio ulteriore e, forse, mettendo sul piatto anche una componente in contanti, oltre che uno scambio “carta contro carta”, come si dice in gergo.
Il Tesoro perde, Delfin e Caltagirone guadagnano
Per sperare nel successo, il Monte ha dalla sua una consistente fetta dell’azionariato di Mediobanca: il principale azionista della banca guidata da Alberto Nagel è infatti Delfin stessa, che ne possiede il 19,8%, seguito da Caltagirone con il 7,7%. In più c’è il Tesoro, che l’autunno scorso ha venduto alla coppia Delfin-Caltagirone – più Banco Bpm – una quota consistente della propria partecipazione nell’istituto senese, dove conserva comunque la partecipazione di maggioranza (l’11,7%). Sabato 15 febbraio il “Corriere della Sera” ha scritto che la premier Giorgia Meloni considera quella delle Generali «la partita più importante della legislatura, perché di lì passa il principio stesso di sovranità nazionale». Sta di fatto che, da quando Mps ha lanciato la sua scalata a Mediobanca, il valore della partecipazione detenuta dal Tesoro nella banca senese è diminuito di 120 milioni di euro, soldi dei contribuenti. Non a tutti gli altri azionisti è andata altrettanto male, guardando i prezzi di Borsa. Caltagirone, a fronte di una perdita di 50 milioni in Mps, ne ha guadagnati 93 in Mediobanca. E Delfin, che su Mps ha perso 100 milioni, su Mediobanca ne ha invece guadagnati 240. Potere delle partecipazioni incrociate, quando c’è di mezzo un’offerta pubblica di scambio.
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