Le tensioni nella dinastia, all’assise di Mediobanca andò Luca Del Vecchio con una manciata di azioni votando contro

Luca ha voluto mostrare il suo punto di vista, probabilmente anche rivendicando un ruolo nelle scelte all’interno di Delfin. E qui sta il punto. Come noto la finanziaria che custodisce l’impero miliardario del genio di Agordo ha una struttura statutaria che impone la collegialità delle scelte, si decide con l’88,1 per cento del capitale. Quindi o tutti d’accordo o niente

Roberta Paolini
Luca e Clemente Del Vecchio, al funerale del padre Leonardo
Luca e Clemente Del Vecchio, al funerale del padre Leonardo

Chi aveva visto nei dissidi interni alla famiglia Del Vecchio un assist all’ad di Mediobanca Alberto Nagel si dovrà ricredere di fronte alla prova dei fatti. È emerso ieri dalle colonne de Il Sole 24 Ore, ma a quanto si apprende questa indiscrezione girava da un po’, che Luca Del Vecchio, quinto figlio del geniale fondatore di Luxottica, si sia presentato ad ottobre all’assise di Piazzetta Cuccia con una manciata di titoli, 50 in tutto, depositando il pacchetto di titoli di sua proprietà. Accanto a lui c’era anche la holding Delfin che custodisce un pacchetto ben più sostanzioso, il 20 per cento di Mediobanca.

Di cui anche Luca è indirettamente proprietario tenendo il 12,5% di Delfin e quindi anche della quota dell’istituto di credito. Il fatto non sta tanto o solo nella sua presenza, individuale, all’assemblea ma a come il giovane erede Del Vecchio abbia deciso di esprimere il suo voto. Da quel che risulta, infatti, in sede di votazione, il voto di Luca e quello di Delfin sono stati differenti: sui cinque punti all’ordine del giorno Delfin ne ha votato a favore tre e su due si è astenuta, mentre Luca ha votato a favore solo sul bilancio, sugli altri quattro punti ha votato contro, nonostante la sua finanziaria si fosse espressa favorevolmente.

Non è un comportamento più di tanto interpretabile, Luca ha voluto mostrare il suo punto di vista, probabilmente anche rivendicando un ruolo nelle scelte all’interno di Delfin. E qui sta il punto. Come noto la finanziaria che custodisce l’impero miliardario del genio di Agordo ha una struttura statutaria che impone la collegialità delle scelte, si decide con l’88,1 per cento del capitale. Quindi o tutti d’accordo o niente.

Anche se, da quel che si apprende, i manager dovrebbero mandato pieno nelle scelte che riguardano gli asset di Delfin, senza necessità di passare per l’assemblea. Inoltre, gli esecutori di Delfin, vale a dire i manager che ne compongono il cda, e in prima linea quello che è l’attuatore delle volontà e del lascito in termini di visione di Leonardo Del Vecchio, ovvero Francesco Milleri, godono di un incarico a vita.

Per legare Milleri ai destini di questo enorme patrimonio Leonardo ha deciso anche di lasciare al fidatissimo manager un notevole pacchetto di azioni, che vale in Borsa 340 milioni. Ed è su questo pacchetto, accanto anche a delle proprietà immobiliari invece lasciate alla moglie Nicoletta Zampillo, che nei mesi scorsi c’erano stati i malumori di Luca e del fratello minore Clemente, figli della terza compagna di Leonardo Del Vecchio, Sabina Grossi.

Del Vecchio ha stabilito nelle sue ultime volontà tre punti fermi: la divisione dell’impero in otto parti uguali: ai sei figli, alla moglie Zampillo e al figlio di lei Rocco Basilico, il lascito di molte case sempre alla moglie Zampillo e, infine, l’assegnazione dei titoli di EssilorLuxottica a Milleri.

Le stesse, spiega Il Sole, sono contenute in un documento di 22 pagine composto da un testamento pubblico, datato 10 ottobre 2017, e di tre brevi testamenti olografi. Le tre integrazioni successive al testamento pubblico, tutte redatte a mano dal fondatore di Luxottica, coinvolgono e assegnano beni anche a due manager, Romolo Bardin e appunto a Milleri. Le postille contestate sono queste ultime, oltre, si apprende, anche alle disposizioni che riguardano l’assegnazione degli immobili a Zampillo.

Al momento Luca e Clemente, avrebbero accolto il testamento con riserva. Un fatto che potrebbe avere come unico risultato quello di deteriorare i rapporti con Milleri. Infatti, come si diceva, la collegialità è sovrana e i manager di Delfin per statuto non hanno bisogno di rivolgersi all’assemblea degli azionisti.

Ciò non significa che i soci non abbiano voce in capitolo, ma possono esprimerla solo all’unanimità, con l’88,1% del capitale di Delfin. L’articolo 10, comma 1, dello Statuto di Delfin infatti recita: “Tutti i poteri non espressamente riservati dalla Legge o dal presente Statuto al singolo Socio o all'assemblea generale degli Azionisti sono di competenza del dirigente unico, ovvero, a seconda dei casi, il consiglio di amministrazione, al quale spettano tutti i poteri compiere ed approvare tutti gli atti e le operazioni coerenti con l'oggetto sociale”.

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