Mediobanca, accordo difficile: Delfin verso una propria lista

Cresce la tensione in vista dell’assemblea autunnale di Mediobanca, con possibili ripercussioni sugli equilibri di Generali, di cui Piazzetta Cuccia è il principale azionista.
Secondo voci di mercato, i colloqui tra il top management della banca d’affari e il socio più grande, la Delfin della famiglia Del Vecchio (ha in pancia il 20% del capitale), non avrebbero consentito di appianare i dissidi degli ultimi due anni.
Tra la fine della primavera e l'estate, vi sarebbero stati almeno tre incontri promossi dagli sherpa, senza tuttavia trovare un’intesa nemmeno di massima. La sensazione è che si vada verso la rottura, considerato che ormai mancano solo due mesi all’assise chiamata a rinnovare il board e finora non sono stati fatti passi in avanti per arrivare a nomi capaci di mettere d’accordo le parti.
Secondo fonti vicine a Mediobanca, il cda uscente avrebbe dato la sua disponibilità a discutere sul numero di consiglieri da riservare a Delfin solo a condizione che quest’ultima smetta di fare l’azionista attivista e condivida il piano triennale. In sostanza, si tratterebbe di rinnegare la posizione tenuta negli ultimi anni, prima con lo stesso Leonardo Del Vecchio, poi con l’arrivo alla tolda di comando della finanziaria di Francesco Milleri, che è anche il numero uno di Essilor-Luxottica. Quest’ultimo, dal canto suo, nega di aver fatto l’attivista avendo e fa sapere di essere in attesa di discutere dei nomi relativi ai prossimi consiglieri.
A questo punto è probabile che le parti si presentino in assemblea ciascuna con una propria lista, con Delfin, affiancata da Caltagirone (che ha il 5,6% e che lo scorso anno ha contesto a Mediobanca la maggioranza in occasione della riunione annuale dei soci Generali) che potrebbe non limitarsi ai tre nomi (su 15) che spettano alla principale lista di minoranza, considerato che Assogestioni dovrebbe completare il board con un rappresentante.
Questa soluzione è subordinata, comunque, al parere dei legali che stanno affiancando in questa partita la finanziaria dei Del Vecchio. Infatti, a suo tempo la Banca centrale aveva autorizzato la Delfin a salire dal 10 al 20% a patto che si comportasse come un investitore finanziario e avvertendo che, in caso di mire di controllo, la holding avrebbe dovuto trasformarsi in banca.
Un’ipotesi troppo gravosa in termini regolamentari per potersi concretizzare. Secondo la lettura oggi prevalente, vi sarebbe spazio per presentare una lista lunga, ma a patto di lasciare alla controparte la scelta del presidente e del ceo. Una situazione che rischierebbe di portare alla paralisi decisionali, con due blocchi contrapposti.
Ma lo scontro in assemblea è ancora evitabile, anche perché il top management uscente gode dell’appoggio dei grandi fondi internazionali, che già nella battaglia di Trieste del 2022 risultarono decisivi per far pendere la bilancia in favore del cda uscente. «A nostro avviso, non ci sono particolari rischi per la permanenza di Nagel in qualità di ceo», sottolineano in un report gli analisti di Websim. I quali vedono come ipotesi più probabile un compromesso sul nome del presidente, con la scelta di una persona vicina a Delfin.
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