Mediobanca, i motivi della contromossa all’offerta Mps e le scelte di Generali
Il successo dell’offerta pubblica di scambio su Banca Generali cambierebbe gli assetti di controllo del Leone di Trieste, il cui management ha ora la possibilità di aderire oppure no

Con l’annuncio di un’offerta pubblica di scambio (Ops) su Banca Generali, il management di Mediobanca esce dall’angolo in cui lo aveva messo la scalata lanciata in gennaio dal Monte dei Paschi di Siena.
La banca guidata da Alberto Nagel mette sul piatto uno dei suoi beni più preziosi, quel 13,1% per cento delle Assicurazioni Generali che aveva comprato in passato investendo una quota dei propri utili e che oggi sul mercato vale circa 6,4 miliardi di euro. L’offerta propone infatti ai soci di Banca Generali di consegnare i loro titoli a Mediobanca, ricevendo in cambio 1,7 azioni Generali per ogni azione posseduta. L’offerta è rivolta al 100% per cento del capitale: se tutti gli azionisti aderiranno, Mediobanca uscirà quasi del tutto dall’azionariato del Leone di Trieste.
Il pallino a Trieste
Una delle condizioni previste per la validità dell’offerta è però che vengano consegnate nell’Ops almeno il 50% più una delle azioni di Banca Generali. Questa condizione lascia il pallino in mano al vertice del gruppo triestino, che dopo l’assemblea di giovedì si insedierà oggi con l’assegnazione della delega di presidente a Andrea Sironi e di quella di amministratore delegato a Philippe Donnet: Generali, in parte direttamente e in parte attraverso alcune controllate, detiene infatti il 50,17% di Banca Generali e ha quindi la possibilità di determinare il successo o meno dell’offerta di Mediobanca.
Se l’offerta avrà successo, determinerà forti ripercussioni anche su tutte le altre operazioni finanziarie in corso. Per capirne la portata, occorre partire da un punto: Mediobanca e Generali sono da tempo nel mirino del costruttore Francesco Gaetano Caltagirone e della holding della famiglia Del Vecchio, la Delfin, che hanno accumulato quote consistenti di capitale nelle due società. L’ultima mossa per tentare di prenderne il controllo è iniziata lo scorso novembre, quando hanno acquistato una parte delle azioni detenute dal Tesoro nel capitale del Monte Paschi, che nel giro di poche settimane ha lanciato un’Offerta pubblica di scambio proprio su Mediobanca, il maggiore azionista singolo di Generali (ne ha il 13,1%, contro il 9,8% di Delfin e il 6,4% di Caltagirone). Nel motivare la sua scalata a Mediobanca, l’amministratore delegato di Siena Luigi Lovaglio ha criticato il vertice dell’istituto milanese di vivere di rendita grazie ai dividendi delle Generali e ha definito la partecipazione nel Leone triestino “bella da possedere” ma non essenziale per le prospettive dell’aggregato che nascerebbe dall’unione con Mps.
L’astensione dei consiglieri di Delfin
Se la contromossa elaborata da Mediobanca avesse successo, Nagel toglierebbe la questione di mezzo: per prendere il comando di Generali non si passerebbe più da Mediobanca. Gli azionisti del suo istituto, se entrambe le offerte riceveranno le necessarie autorizzazioni, dovranno scegliere proseguire da soli con il piano industriale di creare il nuovo punto di riferimento in Italia nel settore delle gestioni patrimoniali, oppure se aderire all’offerta senese. In linea teorica, una cosa non esclude l’altra, anche se nelle intenzioni di Nagel e del management di Mediobanca sono opzioni chiaramente alternative. Una parte della risposta potrebbe arrivare dal mercato: da qui all’estate, occorrerà vedere tra l’altro come si comporteranno i titoli in Borsa. Nelle ultime settimane, Mediobanca aveva allargato il proprio vantaggio rispetto al controvalore in azioni offerto da Siena, mentre oggi Mps sta guadagnando qualcosa in più rispetto alla preda. Se però le azioni Mediobanca continueranno a valere sensibilmente più di quelle di Siena, la maggior parte dei soci potrebbe decidere di non consegnarle, facendo tramontare l’offerta. Da segnalare, in merito, che nella riunione di ieri del Cda di Mediobanca i due consiglieri di amministrazione espressi da Delfin – la vicepresidente Sabrina Pucci e Sandro Panizza – sono stati gli unici ad astenersi nel dare il via libera all’offerta su Banca Generali, mentre ha votato a favore l’altra consigliere delle minoranze, Angela Gamba, espressa invece da Assogestioni.
Il lock-up sul pacchetto del 6,5% di Generali
L’altro aspetto cruciale dell’offerta su Banca Generali, che andrà valutata prima dal consiglio di amministrazione della società di gestione guidato dall’amministratore delegato Gian Maria Mossa (una prima anche se non decisiva riunione è attesa già oggi), è che cambierà gli assetti di controllo di Generali. Il consiglio di amministrazione che si insedia oggi, in forte continuità con quello precedente, è stato votato giovedì dall’assemblea, che ha dato una larga vittoria alla lista presentata da Mediobanca e che è stata sostenuta da tutti gli azionisti, grandi e piccoli, diversi da Delfin, Caltagirone, Unicredit e Fondazione Crt. Se il cda decidesse di aderire all’offerta di Mediobanca, le Generali si ritroverebbero in mano il 6,5 per cento circa del proprio capitale. L’offerta, ha spiegato Mediobanca, è vincolata “all’assunzione da parte di Generali di un impegno sulle azioni proprie ricevute in corrispettivo di un lock-up per dodici mesi a partire dal perfezionamento dell’offerta, con riguardo a operazioni di offerta e collocamento presso il pubblico indistinto”: vuol dire che per un anno non potranno vendere quel pacchetto, ragionando nel caso su come utilizzarlo, sia per operazioni di sviluppo, sia per ridefinire i propri assetti. Oggi in Borsa il titolo Generali sta perdendo leggermente, nell’incertezza di questo nuovo scenario che si è aperto.
Il riassetto in corso della finanza italiana, dunque, si arricchisce di nuovi fronti, che prima di concretizzarsi e rendere più chiaro il quadro dovranno superare le previste autorizzazioni.
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