Mediobanca, l’effetto tassi su Mps non piace agli investitori

Per gli analisti l’istituto senese ha lanciato la sua offerta in un momento di picco dei margini, mentre la banca di Piazzetta Cuccia ha un business più resistente ai tagli avviati dalla Bce

Luca Piana

Quello che per le imprese e i cittadini italiani è un bene, la riduzione dei tassi d’interesse che la Bce ha iniziato la scorsa estate, per il Monte dei Paschi di Siena è al contrario un fattore negativo. Negli ultimi anni, complici le politiche restrittive delle autorità monetarie per combattere l’inflazione, i guadagni che le banche fanno prestando denaro alla clientela erano schizzati verso l’alto: il margine d’interesse, che misura la differenza fra gli interessi che incassano sui prestiti alla clientela e quelli che pagano invece sui depositi, è esploso, generando una valanga di profitti.

Per Mps questo effetto è stato molto significativo. Se si mettono a confronto i bilanci dei primi nove mesi, il margine d’interesse netto dell’istituto senese era stato di 1,03 miliardi nel 2022, è balzato a 1,68 miliardi nel 2023 e si è arrotondato ancora nei primi nove mesi del 2024, raggiungendo quota 1,76 miliardi.

Il Monte è una “banca semplice”, come recita lo slogan del suo stesso amministratore delegato Luigi Lovaglio, perché nel 2017, dopo i disastri e le perdite miliardarie del passato, la Commissione Europea aveva dato il via libera agli aiuti di Stato a patto che limitasse in misura radicale il proprio raggio d’azione, concentrando l’attività creditizia sulle famiglie e le piccole medie imprese.

Questa semplicità, con i tassi d’interesse della Bce che dopo i primi tagli sono attesi ora in ulteriore discesa, comporta però un prezzo. Mentre altre banche potranno attutire la caduta dei profitti grazie alle commissioni che incassano su attività più complesse e remunerative, l’impatto sui ricavi di Mps sarà più significativo.

Lo si è già visto nel 2024: nel terzo trimestre dell’anno il margine d’interesse si era già leggermente ridotto rispetto al primo trimestre, e il mercato si aspetta che la tendenza continui. Gli analisti di Equita, la maggiore Sim indipendente di Piazza Affari, calcolano che i ricavi complessivi di Mps abbiano già raggiunto il picco l’anno passato, a 4 miliardi di euro, mentre nel 2025 scenderanno a 3,8 miliardi.

Si spiega probabilmente anche con questo motivo la fretta con cui Mps venerdì ha lanciato la sua scalata a Mediobanca, a poche settimane dall’ingresso in cda dei consiglieri espressi dai nuovi soci Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, con lo Stato ancora presente nel capitale con una quota dell’11,7 per cento e con una procedura di aiuti di Stato che, stando ai documenti diffusi finora dalla banca, non ha ancora visto il completamento di tutti gli adempimenti previsti a suo tempo.

Quando si offrono azioni in cambio azioni, come nell’Offerta pubblica di scambio annunciata da Mps su Mediobanca, la prima cosa che il mercato fa è calcolare quanto potrebbero valere le azioni delle due parti in futuro. E nei prossimi anni, per Mps, sembra concreto il rischio che le azioni di Mediobanca verranno valorizzate ulteriormente, almeno rispetto alle proprie.

Stando nuovamente alle previsioni di Equita, infatti, l’istituto guidato da Alberto Nagel nel 2025 sarà in grado di generare ricavi complessivi per 3,68 miliardi, più dei 3,60 miliardi del 2024, mentre nel 2026 salirà ulteriormente, raggiungendo i 3,79 miliardi. Il motivo è semplice, anche in questo: Mediobanca è un istituto che svolge attività meno esposte alla discesa dei tassi, rispetto a quelle del Monte.

È una banca concentrata sulle grandi e medie imprese, forte nel credito al consumo, nella gestione di grandi patrimoni e così via. È lecito dunque immaginare che a Siena, quando hanno deciso di lanciare la scalata, abbiano pensato che fosse l’ultima occasione utile: aspettare poteva rivelarsi un rischio, perché il passare del tempo potrebbe far diventare ancora più lampante la differenza nelle prospettive delle due banche.

Considerati questi fatti, non è difficile capire la reazione della Borsa, che venerdì dopo l’annuncio ha visto il titolo Mps cadere del 6,91 per cento e Mediobanca mettere a segno un balzo del 7,72 per cento.

Se fosse per il mercato, dunque, l’offerta congegnata dalla banca senese con il sostegno del Tesoro e dei due soci privati Caltagirone e Delfin - che da anni mirano a prendere il controllo delle Assicurazioni Generali, di cui Mediobanca è il primo azionista con una quota del 13 per cento – difficilmente andrebbe a buon segno. Qui, tuttavia, entrano in gioco altri fattori.

Delfin e Caltagirone possiedono rispettivamente il 19,8 per cento e il 7,7 per cento di Mediobanca, e così l’Ops del Monte parte già da una base consistente. La banca senese ha detto che l’Offerta sarà valida se raggiungerà il 66,67 per cento delle azioni Mediobanca ma, stando alle indiscrezioni, sarebbe pronta a ridurre questa soglia pur di mettere piede in Piazzetta Cuccia.

In questo caso, tuttavia, gli scenari si farebbero ulteriormente incerti. Un esempio può dare idea della complessità della situazione. Se Mps fosse pronto a ritenere valida l’Offerta anche sotto il 50 per cento, probabilmente non potrebbe utilizzare la dote che afferma di voler portare a Mediobanca, ovvero quel carico di 1,2 miliardi di benefici fiscali (Deferred Tax Asset) legati alle perdite del passato, che almeno nel breve periodo diminuirebbero le imposte sul reddito del nuovo aggregato.

I soci privati, forse, otterrebbero uno dei loro obiettivi, perché una nuova maggioranza di fatto avrebbe gioco facile a scalzare il management della banca milanese e Caltagirone e Delfin potrebbero stringere la presa su Generali. Ma quel giudizio di «offerta pasticciata», che è filtrato da Piazzetta Cuccia, si tramuterebbe in un dato di fatto. —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © il Nord Est