Opa del Banco su Anima: Bce dice no allo sconto. UniCredit, rebus rilancio

Il parere di Francoforte: non applicabilità del regime agevolato. Ma l’ultima parola spetta all’Eba. Piazza Gae Aulenti in assemblea: potrebbe rivedere l’Ops sull’istituto guidato da Castagna

Roberta Paolini

 

La lettera è arrivata. E non è quella che Banco Bpm aspettava. La Banca Centrale Europea ha fatto sapere al gruppo guidato da Giuseppe Castagna di non considerare applicabile il Danish Compromise all’operazione Anima. Una posizione che, pur non configurandosi come decisione definitiva, mette in discussione parte dell’architettura prudenziale su cui si reggeva l’offerta.

Nel suo messaggio a Piazza Meda, la Vigilanza della Bce ha espresso un orientamento «conservativo» sull’utilizzo del meccanismo regolamentare che consente alle banche, in presenza di partecipazioni assicurative, di non dedurre interamente le quote dal capitale ma di ponderarle per il rischio. È il Danish Compromise, lo scudo contabile che avrebbe permesso a Banco Bpm di limitare a 30 punti base l’impatto dell’acquisizione di Anima sul Cet1 (l’indice patrimoniale). Senza di esso, il costo sale a 268 punti base. L’Eba, che è l’Autorità bancaria europea che decide sul compromesso danese, è ora chiamata a pronunciarsi formalmente sulla questione. Banco Bpm ha già sottoposto all’Eba un quesito specifico, facendo leva su una precedente opinione favorevole espressa in un caso analogo. Ma l’esito è tutt’altro che scontato. Chi conosce le dinamiche tra le autorità europee sa che divergenze di vedute sono rare.

La banca si dice pronta a ogni scenario. Nella sua strategia 2024–2027, aveva già modellato uno scenario che teneva conto della mancata applicazione del Danish Compromise: Cet1 comunque sopra il 13%, sei miliardi di euro da distribuire agli azionisti, un euro per azione ogni anno. Nello scenario base, con il via libera al regime agevolato, il dividendo crescerebbe di un miliardo.

Intanto, l’offerta su Anima — lanciata lo scorso novembre dalla controllata Bpm Vita — ha già raccolto il 47,24% del capitale, tenuto conto delle ultime adesioni e dell’impegno formale di Poste di Italiane, superando la soglia minima del 45% più un’azione. Oggi il cda di Banco Bpm discuterà l’aggiornamento dell’operazione, comprese le condizioni di efficacia volontarie e il livello di adesioni. Ma la posizione della Bce, che ha già respinto un’analoga richiesta da parte di Bnp Paribas sull’acquisizione degli asset di Axa Im, rischia ora di allargare il perimetro delle ricadute. Senza Danish Compromise, ogni operazione di M&A tra banche e società di gestione diventa più onerosa sul piano patrimoniale. L’argine regolamentare potrebbe quindi frenare il consolidamento europeo. Infatti rischia di impattare, se realmente si tramutasse in un precedente, anche sull’Ops di Mps su Mediobanca: essendo Piazzetta Cuccia primo azionista di Generali, Siena sperava di poterlo utilizzare per abbassare l’impatto sul capitale.

A Piazza Affari, la reazione non si è fatta attendere. Banco Bpm ha perso ieri il 4,4%. Non sfugge che l’incertezza sul trattamento regolamentare di Anima potrebbe spingere UniCredit a riconsiderare l’interesse per una possibile Opa su Bpm. Anche il gruppo guidato da Orcel aveva previsto, nei propri modelli, l’applicabilità del Danish Compromise. Secondo stime interne, l’assenza del beneficio costerebbe 44 punti base in più sul Cet1 di UniCredit, qualora decidesse di rilevare il 100% dell’istituto milanese. UniCredit oggi riunisce a Milano i suoi soci, l’eventualità di un rilancio con questo scenario di fondo sembra un po’ allontanarsi. Il paradosso è che, l’eventuale la bocciatura del Danish Compromise riduce il capitale di Bpm, ma anche il prezzo implicito da pagare per chi volesse acquisirla. Il titolo scende, e con lui il premio da offrire. Il rischio aumenta, ma anche l’appetibilità — se si guarda al medio periodo.

Il punto è che il Danish Compromise non è solo una questione tecnica. È il simbolo di un’Europa bancaria che prova a diventare mercato unico. Bloccarlo, a prescindere dalle singole operazioni, potrebbe significare nuove barriere. Ma a Francoforte, evidentemente, vedono ancora più rischi che opportunità.

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