Zanetti Beverage: l’addio alla Borsa scontenta (quasi) tutti

TREVISO. L’esito dell’operazione è scontato, ma altrettanto lo è il fatto che molti usciranno con le ossa rotte dall’operazione, che sembra scontentare tutti tranne che i promotori. Oggi è il secondo giorno dell’Opa volontaria totalitaria promossa dalla controllante Mzb Holding sulle azioni ordinarie di Massimo Zanetti Beverage Group, proprietaria di marchi come Segafredo Zanetti, Café Mag, Puccino's, San Marco e Sapore Italiano. Gli azionisti di minoranza (che complessivamente detengono il 31,953% del capitale sociale) hanno tempo fino al 20 novembre per le adesioni, ma in caso di necessità verrà aperta un’altra finestra tra il 30 novembre e il 4 dicembre.
Il costo massimo dell’operazione sfiora i 50 milioni di euro, già in cassa alla Mazb, che fa capo alla lussemburghese M. Zanetti Industries SA, a sua volta controllata da Massimo Zanetti, titolare di una partecipazione del 70% (il resto è detenuto dai figli Laura e Matteo).
Protesta degli indipendenti
L’offerta pubblica di acquisto è arrivata dopo il via libera della Consob, che ha preso atto delle conclusioni pronunciate dal cda della società oggetto dell’Opa, secondo cui il prezzo di 5 euro per azione è congruo. Una posizione suffragata dai consiglieri espressi dalla controllante (Massimo Zanetti, i suoi due figli e tre manager della società), ma avversata da quelli indipendenti, a valle dell’analisi indipendente sull’effettivo valore del gruppo affidata a Mediobanca. Per citare un dato, i flussi di cassa attesi nei prossimi anni portano a una stima tra un minimo di 6,2 euro e un massimo di 8,9 euro per azione.
La delusione è diffusa anche tra i piccoli azionisti, soprattutto coloro che nella primavera del 2015 avevano aderito all’Ipo al prezzo di 11,30 euro. Già nelle sedute successive il titolo aveva perso terreno, arrivando a 7 euro nell’autunno successivo, prima di un rimbalzo seguito da una lunga fase di debolezza.
Le ragioni dell’Opa
Con lo scoppio della pandemia vi è stato un vero e proprio crollo fino a 3,5 euro, che ha spinto la controllante a decidere per il delisting, ritenendo non adeguato il valore riconosciuto dal mercato. L’addio a Piazza Affari risponde, però, anche a un’altra esigenza: la necessità di ristrutturare radicalmente l’azienda, e di farlo rapidamente, cosa che la quotazione non renderebbe possibile.
Da qui la decisione degli azionisti di controllo, che però scontenta tutti gli altri. I fondi avevano fiutato l’aria e preferito disinvestire già da tempo. Anche perché, come ricorda La Repubblica Mzb ha sempre avuto un grosso conflitto di interessi con il suo maggiore fornitore di caffè, la Cofiroaster, che fa capo ed è gestita dallo stesso amministratore unico del gruppo che vende miscele e gestisce numerose caffetterie Segafredo Zanetti.
Un insieme di situazioni che lasciano l’amaro in bocca a tanti.
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