Crac Popolare di Vicenza, ecco perché il tesoro di Zonin non tornerà nelle mani dell’ex banchiere
L’avvocato Ambrosetti, difensore di Zonin, chiarisce cosa succederà ora che la Consulta ha bocciato la confisca dei beni: «Una sentenza nell’interesse delle parti civili». C’è la concreta possibilità di risarcimenti, impossibili se i beni fossero andati allo Stato

Ci sono la villa di Montebello e il palazzo di contra’ Pozzetto in centro a Vicenza, poi il 2% di quote della società “Tenuta Rocca di Montemassi srl”, il 26,9% delle quote della “Gianni Zonin Vineyeards sas”. E ancora quote pari al 38, 55% della società “Zonin Giovanni sas”, oggi “1821 Vineyards sas di Domenico Zonin&C. Infine il 31% delle quote della “San Marco srl”.
È questo il tesoro del banchiere Gianni Zonin per cui la Corte Costituzionale ha deciso di non procedere con la confisca a beneficio dello Stato. Il valore totale dei beni riferiti a Zonin e agli ex manager della Banca Popolare di Vicenza sfiora il miliardo di euro.
Corretta interpretazione
«Ma attenzione a non travisare» mette in guardia il legale Enrico Ambrosetti, che difende l’ex presidente di Bpvi. «La sentenza della Consulta va proprio nell’interesse delle parti civili».

Il motivo è presto detto: i sequestri dei beni scaturiscono dalle azioni civili esercitate nel corso del processo penale. Tutti i beni di Zonin e soci sono sotto sequestro dal 2017 e il provvedimento è stato eseguito proprio nell’ottica del risarcimento alle parti civili. Ora c’è quindi una concreta possibilità di ottenere un risarcimento, cosa che sarebbe stata impossibile se fosse stato dato l’ok alla confisca a beneficio dello Stato. Chi pensava che i beni sarebbero tornati nella disponibilità di Zonin, aveva quindi frainteso la pronuncia della Corte.
Ancora in tribunale
«La prossima udienza sarà probabilmente in primavera», ipotizza l’avvocato Ambrosetti.
In primo grado, il Tribunale di Vicenza aveva disposto, a carico di Zonin e dei tre manager, la confisca di 963 milioni di euro, corrispondente alle somme di denaro utilizzate per la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea.
Il Tribunale aveva calcolato l’importo da confiscare sommando tutti i finanziamenti concessi a terzi dalla Banca popolare, affinché acquistassero azioni della stessa banca senza poi dichiarare quei finanziamenti come previsto dalla legge.
In secondo grado, la Corte d’appello di Venezia aveva confermato in parte la responsabilità penale degli imputati, ma aveva revocato la confisca, giudicandola in contrasto con il principio di proporzionalità delle pene, sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Il procuratore generale aveva quindi proposto ricorso alla Corte di Cassazione che, condividendo quei dubbi sulla possibile sproporzione di una confisca di quasi un miliardo di euro a carico di quattro persone fisiche, ha sollevato questione di legittimità costituzionale. Esprimendosi poi in questa sentenza, la Consulta ha fatto riferimento al principio di proporzionalità, il quale vieta che le pene patrimoniali risultino sproporzionate rispetto alle condizioni economiche dell’interessato e in ogni caso alla sua capacità di far fronte al pagamento richiesto.
In Cassazione
Ora, dopo la decisione sulla legittimità della pena sanzionatoria, il processo di terzo grado davanti alla Cassazione potrà riprendere. Nei prossimi giorni verrà fissata la nuova udienza.
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