Franca Porto, Cisl: "Donne, alleiamoci"
Giovedì 25 febbraio alle 9.30 farà il suo ultimo intervento da segretaria regionale della Cisl. Proporrà al voto Onofrio Rota, come suo successore e il parlamentino del sindacato veneto deciderà. Poi, Franca Porto, diventerà “privata cittadina”. “Nessun incarico, nessun obiettivo pubblico – spiega – quello che farò dopo il 25 è un affare privato e come tale deve restare”.
56 anni, vicentina, Franca Porto è stata il simbolo della Cisl Veneta per nove anni. Eletta a febbraio 2007 è stata la prima donna al vertice di un’organizzazione sindacale. Già segretaria della Cisl di Vicenza dal 2004, militante fin dagli anni Ottanta, si è sempre distinta per le sue battaglie e un profilo di competenza e riservatezza.
“Sono stata la prima donna in un sacco di sfide nel sindacato – spiega oggi -. Anche un’apripista, perché dopo di me sono aumentate le donne nell’organizzazione della Cisl e anche in altri sindacati. Ci sono stati passaggi importanti. Laura Puppato ha partecipato alle primarie del Pd, Alessandra Moretti si è candidata alla presidenza del Veneto e credo che, non solo per la tolleranza ma anche perché la crisi genera sempre forme di arretratezza e freno rispetto ai percorsi di libertà, sia tempo di pensare a un’alleanza trasversale tra le donne di questa regione”.
Ringiovanimento e discontinuità: queste le linee dell’ultimo suo anno. Come si sono declinate?
“Il percorso di cambiamento dentro la Cisl è iniziato da tempo, oltre un anno fa. Ho lanciato l’idea della necessità di ringiovanimento, rinnovamento e discontinuità. Questa proposta è stata accolta: Onofrio Rota, 48 anni di Treviso, è stato nominato segretario aggiunto. Io scadrei nel 2019 ma ho dichiarato che, dopo nove anni di segreteria, non mi sarei candidata al congresso nel 2017 per raggiungere i 12 anni di mandato. Così, a un anno di distanza, il 25 febbraio 2016, possiamo fare questo cambio grazie a un percorso serio, condiviso, consapevole”.
Discontinuità, cosa significa per lei?
“Non è una discontinuità dai valori fondativi. La discontinuità è già nel cambio, perché ogni persona porta con sé un’energia e una storia diversa dal precedente ma ha soprattutto linguaggi diversi. La verità è che: è davvero finita un’epoca, anche nell’affermazione delle leadership, ma noi abbiamo una forza grandissima: siamo cresciuti come iscritti tra i dipendenti ma siamo lontani da giovani e dai nuovi lavori, quelli del presente e del futuro. Quelli dell’innovazione. E’ una questione di know how e di linguaggio. Il cambiamento non è rottamare dei saperi e delle storie, ma tener conto del fatto che si possono costruire pezzi nuovi di sindacato, accogliendo soggetti nuovi”.
E’ solo una questione di accoglienza o anche di strumenti? Social e smart-working possono diventare le nuove parole del vocabolario Cisl?
“Il mondo del lavoro è cambiato. E in questo senso dichiaro la mia arretratezza. Io sono zero social. Non è che questo può mettere la croce su una persona, ma oggi conta anche la condivisione. Quello che vedo è che siamo molto bravi a fare le cose che servono molto ma dentro gli schemi tradizionali, che comunque devono restare. Andiamo nei luoghi strutturati e rappresentiamo. Incontriamo e aiutiamo le persone quando sono disoccupate o devono compilare l’Ise. Ma non ci siamo nei pezzi nuovi. Lì bisogna generare un meccanismo di apertura della Cisl”.
Rispetto le altre sigle, avete chance in più nel cambiamento?
“Non ho mai ragionato per confronto. Anche perché noi in Veneto siamo il primo sindacato e abbiamo da imparare sempre, con responsabilità. Penso che la forza della Cisl sia sempre stata, e continuerà ad essere, nei due punti tracciati da Pastore fin dalla fondazione: essere capaci di essere pluralisti, dando valore al dibattito e riconoscendo le differenze. L’altro punto è la responsabilità di sapere che un sindacato ha su di sé il peso di trovare soluzioni. Anche inventandole”.
Che disamina può fare di questo Veneto dopo così tanti anni di crisi?
“Segnalo, da operatrice del territorio, che tre anni fa parlavamo dello shopping della Carinzia; e oggi parliamo di imprese che ritornano in Veneto dalla Polonia e dalla Cina. Mai, dunque, trarre risultanze definitive quando si parla di imprese. Vedo delle debolezze come l’eccesso di frammentazione e la politica fatica a capire che questa volta tocca a lei, perché da soli non ce la facciamo. Va messa in campo una straordinaria forza progettuale. Il secondo elemento di debolezza è il sistema della rappresentanza imprenditoriale. La cultura dell’intraprendere non è stata intaccata così come la cultura del lavoro che la crisi ha rafforzato. Chi rappresenta le imprese deve riuscire a fare uno scatto di ricomposizione insieme alla politica per fare la differenza rispetto le opportunità che si sono aperte che sono notevoli”.
Quali sono le opportunità?
“Sono un riavvio del manifatturiero rinnovato. Sfruttare un turismo diffuso. Intervenire sulla spesa pubblica per ampliare il welfare contrattato. Ma serve un’idea di sviluppo: chiediamoci che Veneto vogliamo”.
Qual è stata la sfida più dura in questi nove anni?
“La mia è stata un’esperienza di territorio. Ho visto grandi e terribili vertenze sindacali, ho visto le persone pagare prezzi molto alti. Ma la cosa più dura, in questi ultimi anni, è stato vedere persone che avevano un lavoro e una famiglia diciamo “normale” e perdere tutto. La sfida è stata, con fatica, creare le condizioni per restituire loro la possibilità di ricreare benessere. Questa è l’esperienza che mi sta segnando di più. Perché non dare risposte è un macigno. Ultimamente più grande di sempre e perché i tempi di queste risposte sono più lunghi di sempre”.
@eleonoravallin
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