Gli esperti dicono no al Salva imprese: "Le aziende non sono vittime"

Fa discutere la proposta di Luca Zaia di un fondo a sostegno del rating delle Pmi in difficoltà per la svalutazione delle azioni popolari a bilancio. "Idea poco sostenibile: il contribuente non può pagare gli errori degli investitori".

PADOVA. In un’intervista a Nordest Economia poche settimane fa, il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta l’ha detto in modo chiaro: “C'è una differenza tra un obbligazionista che ha sottoscritto un bond subordinato e un azionista, perché quest’ultimo ha scelto di compartecipare al rischio dell’impresa”. La dichiarazione arrivò a poche settimane dal Salva Banche, quando il governo decise di “andare incontro a chi ha subìto un danno colpevole da parte delle banche, incassando una perdita dell’investimento in quanto possessore di obbligazioni subordinate”. Ma nulla per gli azionisti.

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La Regione Veneto ha scelto invece di intervenire a sostegno delle imprese che hanno avuto problemi di bilancio o di rating a seguito della svalutazione delle azioni delle banche Popolari Venete. Veneto Sviluppo, che dovrebbe gestire il Fondo per le imprese in difficoltà, si è dichiarata pronta a intervenire e già con i soldi in conto corrente: 100-150 milioni per quasi 2 milioni di finanziamenti. Ma è questa la strada giusta? Secondo gli economisti ed esperti no.


Paolo Biffis, docente di Economia degli intermediari finanziari a Ca’ Foscari, è contrario e tranchant sul Fondo Salva Imprese: “Le aziende che hanno investito in azioni è ben difficile che dimostrino, in qualsiasi sede giudiziaria, di non essere stati a conoscenza dei rischi che correvano mentre compravano”. E aggiunge: “Le imprese, quasi per definizione, non credo possano accampare il fatto di non sapere o di aver firmato obtorto collo. E’ già difficile che questa tesi la sostenga un risparmiatore; ma mi chiedo: se l’impresa non sapeva che razza di impresa è? Vuol dire che non sa controllare la propria finanza”.

“Credo che il progetto di Luca Zaia attraverso Veneto Sviluppo sia poco sostenibile sul piano di diritto ma credo anche dal punto di vista tecnico”. Ma c’è un’altra considerazione: “Se è un fondo della regione è fatto di soldi pubblici e quindi paga il contribuente e io non sono d’accordo su questo e sarebbe quasi materia da referendum: il popolo sovrano è d’accordo nel contribuire agli errori degli investitori? La Regione ha tanti compiti di sussidiarietà e altri da aiutare, penso che la Regione debba comportarsi come lo Stato che è intervenuto sulle obbligazioni subordinate e con una giuria che valuterà caso per caso”.

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Anche Fabio Bolognini, esperto di banche e credito e blogger di Linkerblog, spiega: “Il punto di questa vicenda è stabilire se chi fa impresa possa ragionevolmente presentarsi come vittima del sistema bancario, dopo avere sottoscritto finanziamenti più ampi di quanto richiesto e necessario. Anche se lo avesse fatto dietro suggerimento del funzionario di banca che ha offerto un finanziamento più ampio a condizione di dirottare l’eccesso in acquisto di titoli azionari o obbligazionari della banca, può un imprenditore oggettivamente sostenere di essere stato raggirato?”. La seconda questione che presenta Bolognini è: “Quale sarà la linea di confine che determina la difficoltà di un’impresa”. “L’idea del fondo concesso a Veneto Sviluppo è valida ma quando si tratta di stabilire chi può accedervi e chi no quali criteri oggettivi potranno essere usati? Bisognerà in qualche modo – evidenzia l’esperto – escludere sia i furbi che i troppo ingenui. Ovvero: di fronte a un finanziamento gonfiato e a quelle condizioni ci può essere sia chi se l’è cercata, sia chi non dovrebbe più avere la patente di imprenditore”.

Ma Bolognini rilancia: “Non toccherebbe forse farlo alle due banche?”. Ovvero, spiega: “Allungare il debito sino a quanto il titolo non tornerà al valore iniziale?”.

Oggi Bolognini evidenzia però un altro problema che va oltre il nodo popolari: “Molti degli imprenditori che si ritrovano in pancia queste azioni, o hanno fatto scelte finanziarie non sostenibili rispetto alla produzione di reddito e di cassa della propria azienda e al peso del debito complessivo, un evento diciamo non troppo raro nel Veneto e in altre parti del paese; o non si sono posti domande sulla ri-vendibilità di azioni non quotate”. In ogni caso viene da pensare che la cultura finanziaria non sia solo "affare" dei cittadini.

 

@eleonoravallin
 

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