I rimpianti di Visco: "Su Bpvi ci siamo sbagliati"
PADOVA. Fino al 2015 Popolare di Vicenza era per Bankitalia una banca di «adeguato standing». Ignazio Visco, ieri in Commissione parlamentare per l’attesissima audizione, arriva solo dopo ore al cuore del problema; e lo fa elencando i suoi «due rimpianti» da governatore. Il primo è di «non aver spinto le banche al recupero dei deteriorati»; il secondo di non «essere stati più svegli su Bpvi»: «Abbiamo sempre considerato Vicenza non l’istituto migliore, ma di certo quello in grado di fare acquisizioni di banche più piccole».
Sbagli ed errori. «I problemi li abbiamo visti nel 2015 - continua Visco - ma nel 2014 succede qualcosa: questi signori ricomprano azioni proprie senza dircelo. Convochiamo l’ad (Sorato, ndr) che ci dice: “Ah, mi sono sbagliato”. Partono le sanzioni, chiamiamo la Bce che avvia la prima ispezione e troviamo le prove dei grandi finanziamenti agli imprenditori della zona (le baciate, ndr) e allora deflagra tutto». «Purtroppo, fino ad allora, la nostra valutazione non corrispondeva alla vera natura di quelle persone» aggiunge Visco. Che sulle “baciate” precisa: «Si potevano fare ma abbiamo sempre raccomandato che non andassero a formare il capitale. Ma queste erano Popolari e fin dal 2011 io sollecitai una Riforma: tutte erano autoreferenziali, con un uomo forte al comando e trasparenza pari a zero».
Nessun favoritismo. «Non abbiamo mai fatto pressioni né abbiamo dato indicazioni a nessuno per favorire Bpvi - spiega Visco - Vicenza era interessata a espandersi in tante direzioni e noi abbiamo recepito l’interesse». Visco risale a novembre 2011: «Erano passati tre anni dal divieto, fatto da Bankitalia a Bpvi, ad aggregarsi. Il provvedimento per togliere il divieto fu fatto d’urgenza, ero appena arrivato e non lo firmai io ma, tolto l’obbligo, iniziano ad agitarsi: scelsero Marostica il che mi stupì poi, ad aprile 2014, Etruria. Interesse che la banca toscana ci comunicò formalmente».
La telefonata di Zonin. «Quella telefonata è falsa. Sulla vicenda della fusione con Veneto Banca fu Zonin che venne a dirmi quanto erano interessati». Visco cita una visita in Bankitalia il 12 dicembre 2013. «Era la seconda volta che lo vedevo, venne e si sedette sul divano. Mi disse che lui era interessato a Veneto Banca, io pensai che questa “cosa” avvenisse alla pari con uno scambio di azioni ma lui sembrava aggressivo, forse per la debolezza di Montebelluna post ispezione. Gli dissi di fare l’operazione con equilibrio, seguendo le regole del gioco».
Il film di Trinca. Sulla versione di Veneto Banca interviene invece il capo della Vigilanza Carmelo Barbagallo, ieri al fianco di Visco: «Flavio Trinca ha visto un altro film: il 18 dicembre 2013 venne in Bankitalia senza Consoli per dirci che il cda di Montebelluna aveva affrontato il tema della fusione con Bpvi». Poi, dice Barbagallo, fu «Trinca a dirci che avrebbe preso immediati contatti con Vicenza, spiegando che andava avviato un negoziato per capire chi avrebbe fatto il presidente, chi l’ad, dove sarebbe stata la sede legale». «Non ho mai detto a Consoli né a Trinca: Zonin lo dovete incontrare subito» aggiunge Barbagallo.
La visita a Montebelluna. Il capo della vigilanza torna al 6 novembre 2013 quando portò i risultati dell’ispezione a Montebelluna. «Fu Consoli a dirci che era interessato a valutare la fusione con Bpvi». «Noi chiedevamo a Veneto Banca la fusione con un partner di adeguato standing, non credo di aver parlato specificatamente di Vicenza ed escludo una domanda diretta sul partner a cui io avrei risposto: “è Bpvi”. Vicenza era, tuttavia - chiosa - un partner adeguato in quanto non quotata, con sinergie possibili e risparmi di costi veri, legati alle sovrapposizioni di filiali».
Adeguato standing. Ma Bankitalia credeva (allora) nella solidità di Bpvi. «Dagli Aqr, Bpvi uscì con una carenza di capitale di 100 milioni, Veneto Banca di 600 milioni. Anche gli stress test di base favorivano Bpvi - aggiunge con nota tecnica Visco -: entrambe dovevano fare un aumento ma per mettersi ap osto e avere adeguato standing, ma era più facile colmare il gap per Vicenza che per Montebelluna. Se Vicenza non avesse fatto le porcherie - chiude - quell’aumento di capitale l’avrebbe di certo mantenuta in quella classifica Ue».
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