Il 70 per cento delle aziende dell’agro-alimentare avrà il 2020 in rosso
PADOVA. Due imprese su tre del settore alimentare nel Padovano prevedono di chiudere il 2020 con una perdita del fatturato. E questo pure avendo lavorato anche nel pieno del lockdown, per garantire il normale funzionamento dei principali canali distributivi. A dirlo è un report redatto da Nomisma per Centromarca e l’istituto padovano per l’innovazione nel retail “Ibc”, secondo cui solo un’impresa su cinque o poco più conta di vedere il segno più alla voce fatturato nel 2020.
Pesa lo stop di bar e ristoranti
«Sono dati che non ci stupiscono affatto e che corrispondono di fatto al sentiment che i nostri colleghi di Padova e Treviso stanno esprimendo quotidianamente», ha commentato Giovanni Taliana presidente della sezione Alimentari di Assindustria Venetocentro.
«Il tessuto imprenditoriale di settore a Padova è estremamente variegato. Comprende produttori di salumi e aziende lattiero casearie, produttori di conservati e surgelati, ma pure aziende del dolciario, di vino e contoterzisti per altre industrie alimentari. Ed è caratterizzato per lo più da imprese piccole e medie che puntano molto sulla qualità eccellente dei propri prodotti.
Un sistema che lavora con la grande distribuzione ma anche, e molto, con l’Horeca, il canale che comprende ristoranti, alberghi e bar, tanto in Italia quanto all’estero. E se è vero che durante il lockdown abbiamo tutti lavorato senza risparmiarci per garantire la presenza di tutte le tipologie di prodotto ai consumatori, è vero pure che alcuni canali importanti erano completamente fermi. Bar, alberghi e ristoranti non si sono ripresi neppure con la fine delle limitazioni del governo. E neppure con un estate che ha visto presenze ridotte nelle principali località turistiche».
Export in chiaroscuro
Anche sul fronte dell’export, i primi sette mesi dell’anno, pure evidenziando un risultato cumulato positivo per l’alimentare italiano (+3,5% a fronte di un crollo complessivo delle esportazioni nazionali di un –14% circa) vedono pesanti diversificazioni a seconda del prodotto e del canale di vendita. Secondo “Nomisma” l’export di vino vede una flessione del 4%, la pasta italiana segna invece un +25% per fare solo un paio di esempi.
«Per la qualità e le dimensioni medie delle sue imprese, il nostro alimentare lavora soprattutto con il canale Horeca e con la ristorazione stellata di tutto il mondo – continua Taliana – Un canale che è tra i più colpiti dalla pandemia ai quattro angoli del globo. Per un settore che storicamente investe molto in innovazione di processo, di prodotto, in marketing e così via, essere costretti a lavorare a vista, con un occhio sempre puntato sui bollettini medici internazionali non è un buon viatico alla crescita».
Investimenti rinviati
Altro nervo scoperto di un settore che nel nostro territorio vede oltre il 50% delle aziende attive direttamente sui mercati internazionali, riguarda proprio propensione agli investimenti.
Prima dell’emergenza l’82% delle aziende ne aveva pianificati ma mancanza di liquidità, difficoltà di accesso al credito e congiuntura negativa spingono ora il 38% delle imprese a rimodularli e il 31% a rinviarli con tutte le conseguenze che questo può comportare in termini di sviluppo del settore e di competitività. —
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