Il commento / Belluno laboratorio delle periferie competitive
Un ruolo decisivo viene giocato dalla regia pubblica, identificata non soltanto dalla politica locale ma anche dalle associazioni di categoria e di rappresentanza

In un celebre saggio uscito nel 2012 e intitolato "Why Nations Fail" Daron Acemoglu e James A. Robinson spiegavano come alla base del declino delle grandi società della storia ci fossero delle istituzioni di bassa qualità. A distanza di un decennio, e in un contesto economico profondamente cambiato, la teoria avanzata dai due studiosi trova una forte corrispondenza nel differenziale di competitività che si registra oggi tra diversi territori all'interno di un medesimo Paese.
Da un lato, infatti, abbiamo conosciuto negli ultimi anni la rapida ascesa di un gruppo di città "superstar" mondiali che, di fatto, dominano la scena dell'innovazione mondiale; dall'altro, l'insieme dei luoghi periferici a questo network di città "alpha" si distingue sempre più tra territori competitivi e territori non competitivi. Se il destino dei luoghi cosiddetti "secondari" non appare dunque segnato, è doveroso interrogarsi sulle condizioni che abilitano la resilienza economica di tali contesti e alimentano la loro capacità di generare innovazione.
Attraverso lo studio delle "periferie competitive" si sono messi in evidenza un insieme di fattori che sembrano essere alla base della rinnovata competitività delle nuove periferie nell'economia della conoscenza. Si tratta, nello specifico, della presenza di multinazionali domestiche o internazionali integrate nell'economia globale; della collaborazione continuativa tra le università e il settore privato su scala locale; e della presenza di un sistema di finanza a supporto della nuova imprenditorialità.
Sono tre fattori che, a ben vedere, si poggiano su istituzioni di qualità. Non soltanto le università, la cui sola presenza non basta ma necessita invece di profondità, ma anche e soprattutto le imprese e una regia pubblica che si faccia portatrice di una visione di medio-lungo periodo.
Guardando al contesto italiano, e a quello nordestino in particolare, non sono molte le città che affrontano la transizione dall'economia industriale a quella della conoscenza con i tre pilastri di cui sopra ben piantati nel terreno locale. Se le multinazionali sono presenti quasi ovunque, un importante elemento differenziante arriva dal tipo di attività che esercitano. Si tratta di mere funzioni esecutive o ad alto valore aggiunto? Un discorso simile può essere fatto per le università. Quasi tutti i capoluoghi hanno almeno un campus universitario. Ma quanti di questi ospitano dipartimenti Stem, ovvero l'insieme delle discipline alla base dell'innovazione tecnologica? E quante università collaborano in forma continuativa con le imprese locali? Il terzo elemento - la finanza - è forse il più complesso, non fosse altro per la recente sparizione di due banche di riferimento in Veneto. Bene, dunque, la crescita delle Bcc locali, ma è giusto chiedersi se l'assetto finanziario attuale sia rispondente alle nuove necessità che l'economia della conoscenza e l'esercizio di funzioni "capital intensive" portano con sé.
All'interno di questo contesto, un ruolo decisivo viene giocato dalla regia pubblica, identificata non soltanto dalla politica locale ma anche dalle associazioni di categoria e di rappresentanza. Un tratto caratteristico delle istituzioni di qualità è la capacità degli stakeholder locali di non cadere nella tentazione di guardare lo specchietto retrovisore e abbandonarsi a una facile auto-celebrazione. Proprio per questo, paradossalmente, sono i territori che partono da una posizione subalterna ad essere meglio posizionati nella transizione all'economia post-industriale. Territori, ad esempio, come la città di Belluno, che ben conoscendo le difficoltà provenienti da una geografia periferica, si è mossa per tempo per capire come aggiornare il proprio modello competitivo. La consapevolezza delle istituzioni locali ha portato investimenti da parte della business school della Luiss e del Dipartimento di Informatica dell'Università di Verona; ha compreso l'urgenza di avviare un dialogo con le imprese, a partire da Luxottica e via via integrando le altre multinazionali locali; ha messo in agenda la necessità di investire in infrastrutture fisiche e digitali per potenziare la connettività del territorio e aumentarne l'attrattività.
Sono sfide complesse, che definiscono un'agenda che necessiterà di un tempo di esecuzione ampio e dovrà essere supportata da ingenti investimenti e dalla regia di istituzioni di qualità. A partire da quelle stesse imprese che a Belluno sembrano avvertire un senso di urgenza che altrove a Nord Est fa fatica ad emergere. Proprio per questo, Belluno si candida a diventare il laboratorio delle politiche per le nu ove "periferie competitive". L'auspicio è che le istituzioni pubbliche e private si dimostrino all'altezza della partita.
*Professore al Trinity College di Dublino
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