«Il debito è sostenibile, ma per la crescita non servono nuove tasse semmai tagli alla spesa»

Veronica De Romanis, economista alla Stanford University e alla Luiss: «L’Italia rischia di pagare 100 miliardi di interessi e quindi avere minori risorse per scuola e sanità»

Giorgio Barbieri
Veronica De Romanis
Veronica De Romanis

«Le aste dei nostri titoli di stato vanno bene per cui non ci sono problemi di sostenibilità del debito. Ma è fondamentale ridurlo attraverso una maggiore crescita e un intervento deciso sulla spesa pubblica. E da un governo politico, come quello guidato da Giorgia Meloni, mi sarei aspettata idee chiare e scelte precise su quali interventi fare. Perché la riforma delle riforme resta sempre la spending review». Ne è convinta Veronica De Romanis, economista e docente di Politica economica europea alla Stanford University e alla Luiss Guido Carli, che sottolinea come un debito pubblico elevato, nel pieno di una fase geopolitica caratterizzata da forti tensioni internazionali, riduca anche i margini d’intervento di un governo già alle prese con una revisione al ribasso delle stime sul Pil per il 2024.

Per la Banca d’Italia la crescita sarà infatti pari a un +0,6% quest’anno e anche il governatore Panetta ha parlato di un rallentamento. Quali saranno gli effetti sul nostro debito?

«L’Italia in questi anni ha accumulato un debito rispetto al Pil che sfiora ormai il 140 per cento e che, secondo anche le previsioni della Commissione europea, continuerà a salire nel prossimo biennio. Ciò comporta, innanzitutto, una spesa per interessi sempre più elevata: attualmente è pari a circa 80 miliardi e in crescita. Se poi il governo aveva effettuato stime su disavanzo e debito basate su una crescita prevista del +1,2% è evidente che, se quest’ultimo dato si dimezza, il debito è destinato a salire ulteriormente. Il rischio è arrivare a pagare 100 miliardi di interessi. E questa è una spesa tra le più inique».

In che senso?

«Lo Stato deve distribuire soldi ai detentori dei titoli pubblici, che solitamente non sono la parte meno abbiente della popolazione, prelevandoli però dall’intera collettività. Ci saranno minori risorse per servizi come la scuola, la sanità, i trasporti che solitamente sono usati di più da chi ha meno capacità di spesa. Inoltre verranno a mancare risorse per mettere in campo una politica di bilancio selettiva che significa non tutto a tutti, ma solo a chi ha bisogno. Uno strumento fondamentale per far fronte all’inflazione che, come ha spiegato anche l’Istat, è in larga misura la causa del peggioramento dei dati sulla povertà».

Le tensioni geopolitiche, da Israele al Mar Rosso, rischiano anche di far ripartire l’inflazione con inevitabili effetti sulle decisioni della Banca centrale europea per quanto riguarda i tassi. Cosa si aspetta?

«Una delle principali conseguenze di un debito elevato è la vulnerabilità di un’economia nell’eventualità di altri shock. E a pagare saranno sempre i più deboli come del resto è accaduto nella scorsa crisi finanziaria: il conto più elevato è stato saldato da chi aveva meno tutele, ossia i piccoli risparmiatori. Ridurre il debito è, pertanto, fondamentale se si vuole combattere la povertà».

Di fronte ai dati sullo spread, lei ha sostenuto che i mercati ormai considerano la Grecia più affidabile dell’Italia. È ancora così?

«Chi investe tiene inevitabilmente conto diversi elementi, in primo luogo la dinamica del debito. Quello greco scende anche se parte da livelli molto elevati. E a questo va aggiunto che la crescita prevista anche per il 2024 è pari al 2 per cento, più del doppio della nostra. L’Italia ora ha la grande occasione del Pnrr, ma vedo che purtroppo si parla solo della spesa e non delle riforme che sono invece il vero strumento per crescere. A partire da quella sulla concorrenza».

In Italia però sembra che riguardi solamente i balneari e i tassisti. È così?

«La questione balneari però ha il merito di mostrare quale sia l’approccio della politica economica di questo governo e dei precedenti sul fronte della concorrenza che, voglio ribadirlo, è uno strumento fondamentale per tutelare i consumatori e dare opportunità ai giovani. Secondo l’Istat in Italia ci sono quasi due milioni di Neet, ossia giovani che non studiano e non lavorano. E questa è una vera emergenza per il nostro Paese».

Il ministro dell’Economia sostiene che ogni giorno deve convincere la gente a comprare il debito. Il governo sta andando nella direzione giusta?

«Da un governo politico mi sarei aspettata idee chiare e indicazioni precise per riordinare un bilancio dello Stato che è iniquo. Nel 2026 la spesa per gli interessi sarà di 100 miliardi, più di tre volte l’attuale finanziaria. E come detto si tratta di una spesa iniqua, perché si prendono risorse dalla collettività, sottraendole a comparti fondamentali come sanità e istruzione per darle a chi compra titoli pubblici, che non appartengono alle fasce sociali più in difficoltà».

Nei giorni scorsi l’Ocse ha indicato alcune possibili vie, ossia tassare maggiormente le pensioni più alte, la proprietà e le successioni. È d’accordo?

«No. Dobbiamo ridurre la spesa non aumentare la tassazione. Quindi è necessario intervenire sulla finanza pubblica riducendo la spesa. Lo dice del resto anche il governo nella Nadef. Nell’arco di un triennio, il governo prevede un aumento del saldo primario di circa 50 miliardi. Ma ad oggi di questa fondamentale azione di spending review non se ne parla molto. È evidente, tagliare la spesa non piace a nessuno».

E il governo infatti punta a vendere piccole quote di aziende di Stato. È la strada giusta?

«Per farlo in modo credibile è necessario che il governo abbia un programma preciso. E al momento non ci sono gli elementi per valutare».

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