Il gioiello Save in mani franco-tedesche

Con il divorzio dei soci storici Enrico Marchi e Andrea de Vido e il riassetto della controllante Finint, un altro pezzo pregiato e strategico del Veneto finirà in mani straniere

VENEZIA. I cieli di Venezia diventano più francesi. Dopo le utilities, le banche, le autostrade e i grandi marchi della nostra industria, sta per andarsene un altro pezzo di Veneto. Un pezzo pregiato. L’aeroporto della Laguna è uno dei migliori d’Italia, ha tassi di crescita doppi rispetto agli altri, è ben gestito e ha orizzonti molto promettenti. Fa un sacco di soldi. E proprio per questo presto non sarà più nostro.


In questi giorni si definiscono gli ultimi dettagli della fine del sodalizio imprenditoriale tra Enrico Marchi e Andrea de Vido, soci di Finanziaria Internazionale, l’azionista di controllo di Save, concessionario dell’aeroporto di Venezia. La loro separazione ha conseguenze sull’assetto azionario dello scalo, come scritto da tempo sul nostro giornale: un cambio di controllo in Finint pretende il lancio di un'opa sul piano sotto, Save appunto.
Marchi liquiderà de Vido, con circa 120 milioni e poi resterà azionista del concessionario aeroportuale con nuovi partner finanziari: il fondo francese InfraVia e un fondo di Deutsche Bank. Ma la quota che resterà a Marchi sarà meno della metà di quella attuale. Finint tra partecipazioni dirette e indirette ha oggi il 33% di Save e ne è a tutti gli effetti l'azionista di maggioranza e dunque di controllo. Alla fine dell’operazione resterà con un 12% circa, molto sotto ai partners InfraVia e DB.


Sembra un gioco di scatole cinesi, si cambiano pesi e misure, c’è chi entra e chi esce, si smontano castelli societari e se ne montano di nuovi. Ma al netto della noia contabile resta che, alla fine di tutti questi arabeschi finanziari, l'aeroporto intercontinentale di Venezia sarà molto meno veneto. Molto meno italiano.Magari il timoniere di Save sarà ancora per una stagione Marchi, magari la governance resterà italica, ma la Città di Cristallo aperta al mondo attraverso il cielo vestirà, presto, i colori di Francia e Germania.

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La redazione


«L’aeroporto di Venezia deve restare italiano”». Sembra ancora di sentirlo Enrico Letta, quando da premier passeggiava nel Marco Polo, affermando «ho letto su alcuni giornali qualcosa di poco sintonico con l'interesse del Paese». Pronunciò queste parole quattro anni fa durante uno dei momenti più difficili per la storia del finanziere Enrico Marchi. Anche allora la sua Finint rischiava di perdere il controllo dell’aeroporto della Laguna. Un gioiello che lui (e non si può negare) ha trasformato da piccolo scalo di provincia nel terzo scalo italiano.
Al tempo gli avversari avevano altri volti. Si disse che Mediobanca stava studiando un’operazione per il gigante dei cieli Fraport, la società che gestisce il più importante aeroporto europeo, Francoforte. Letta durante un vertice trilaterale arrivò a Venezia mettendo in chiaro le cose, insomma la posizione del governo e la protezione verso la "italianità" di Save. Un endorsement che fece gioco a Marchi, che in quella fase doveva chiudere la partita con Generali (allora azionista di Save), mentre alle porte c’erano pretendenti pronti ad aggredire il suo gioiello. Quella volta vinse lui. Accadde anche grazie a un provvidenziale e inaspettato appoggio della Popolare di Vicenza, che acquisì sul mercato l’8% del capitale di Save e all'arrocco con la Fondazione di Venezia. Insomma, un pacchetto di mischia veneto.


Al tempo le popolari avevano ruolo e potere, oggi no. Non si può dimenticare che de Vido e Marchi sono insieme in Finint da 36 anni. Un rapporto che ha iniziato a vacillare nel 2015, quando Veneto Banca chiede a de Vido di rientrare dalla sua micidiale esposizione debitoria. Circa 80 milioni di euro con un collaterale-spazzatura: le azioni di PopEtruria, una delle quattro banche finite in risoluzione. A quel punto de Vido chiede al socio Marchi di essere liquidato delle sue quote in Finint, in modo da chiudere il suo debito con la popolare di Montebelluna. Qui sta l’innesco della fine del sodalizio tra i due soci. La crisi della Finanziaria di Conegliano è dunque lo specchio della fine di un’epoca. Di un capitalismo di relazione di matrice locale, che aveva contribuito a dare a questo pezzo di Italia un suo equilibrio.


La vicenda Save costituisce un altro capitolo della fine di un’epoca, sta calando il sipario su una stagione del Nordest arrembante e protagonista. E su una delle mete turistiche per eccellenza del nostro paese verrà issato il tricolore francese.

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