Il lockdown a Shanghai blocca il porto. Confindustria Udine lancia l’allarme: un altro shock per le imprese

Ma la priorità resta l’energia. Servono azioni risolutive per ridurre la dipendenza energetica del Paese

La protesta degli operai aderenti al sindacato Si-Cobas che a Napoli hanno bloccato le attività logistiche della società Turi Trasport salendo ache sulle pile di container a decine di metri di altezza, 27 aprile 2022 ANSA / CIRO FUSCO
La protesta degli operai aderenti al sindacato Si-Cobas che a Napoli hanno bloccato le attività logistiche della società Turi Trasport salendo ache sulle pile di container a decine di metri di altezza, 27 aprile 2022 ANSA / CIRO FUSCO

UDINE. Energia, approvvigionamento e costi, e supply chain, ovvero i rifornimenti di materie prime, ma anche e soprattutto componenti e merci, dalla Cina.

Sono le due emergenze che occupano posizioni di vertice per Confindustria Udine, l’associazione degli industriali presieduta da Gianpietro Benedetti. Sul tema energia «la situazione richiede non parole, ma interventi comunitari e nazionali rapidi per risolvere l’enorme problematica della dipendenza energetica del Paese - indica l’obiettivo Confindustria Ud -. Bisogna attuare azioni immediate per ridurre le forniture energetiche esterne, non soltanto russe, ma anche quelle che derivano da tubature, degassificatori, eccetera, che restano in ogni caso strutture soggette a variabili non controllabili e con un elevato costo di mantenimento e manutenzione, che mina e continuerà a minare la competitività del nostro sistema industriale e del bilancio delle famiglie».

Cosa serve è chiaro: «impianti solari ed eolici al Sud, utilizzo dei giacimenti di gas nazionali (eventualmente adriatici) con un programma di produzione di energia nucleare per idrogeno green. Ma a oggi un programma accelerato ancora non esiste». E, come se non bastasse, «a questo gigantesco problema si aggiungono di volta in volta altri ostacoli con dinamiche temporali (probabilmente) temporanee, ma non per questo meno impattanti». L’esempio è l’obiettivo zero-Covid in Cina che ha comportato «un lockdown che ha bloccato in casa 25 milioni di persone a Shangai». Gli effetti delle misure sono stati «un ingorgo di proporzioni gigantesche al porto, il principale scalo marittimo cinese e il più grande porto commerciale del mondo, dove ogni anno transitano circa quarantasette milioni di Teu (unità di misura delle unità di container equivalenti a 20 piedi)». Oltre 500 le navi mercantili ferme davanti alla costa di Shanghai cariche di materiali che sono i più diversi e altre in attesa di essere caricate. La certezza è che sono ferme e che le merci, attese a destinazione tra alcune settimane, non arriveranno, con le conseguenze che si possono immaginare. Alcune evidenti da tempo, basta pensare ai fermi produttivi di Electrolux. Paragonando la situazione di oggi al lockdown del 2021, la ‘coda’ di navi dentro e fuori il porto di Shanghai non era mai salita oltre quota 200.

«Tutta la logistica delle merci è fortemente rallentata - rimarca Confindustria - e l’intera logistica mondiale, già provata dalla pandemia e dai più recenti effetti negativi prodotti dal conflitto russo-ucraino, dunque, sta soffrendo per questa ennesima, pesante strozzatura». A cui sommare i costi dei noli «affittare un container da 40 piedi da Shanghai a Rotterdam fino all'estate scorsa costava non più di 2.000 dollari, in autunno le tariffe sono schizzate fino a 13.000 dollari e oggi oscillano su cifre analoghe».

Ricorda l’associazione alcuni dai sull’interscambio Italia-Cina, nono nono partner commerciale per valore di beni esportati e il terzo per beni importati: nel ’21 l’export italiano in Cina ha raggiunto i 15,9 miliardi, +21%, l’import segna +19,4% a 38,5 miliardi. Per il Fvg il mercato cinese vale 368 milioni, importiamo beni per 690 milioni, per lo più macchinari , computer e prodotti di elettronica, apparecchiature elettriche. «Il lockdown in Cina sta già avendo un impatto significativo sulle supply chain globali - conclude Confindustria Ud - e se non verrà presto rimosso compoterà un rallentamento della domanda di trasporto». E forse anche dei costi, comunque destinati a non tornare sui livelli pre-pandemia «e che peseranno sulle nostre imprese manifatturiere». 

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