Il ponte Morandi, i Benetton e il benservito a Castellucci dopo le intercettazioni

La ricostruzione dei rapporti tra il manager e la holding Edizione, lo sgomento di Gilberto e la decisione di sacrificare l'uomo chiave dell'inchiesta

TREVISO. C’è una foto che spiega ogni cosa di quale fu il rapporto tra Gilberto Benetton e Giovanni Castellucci. E idealmente della prosecuzione, dopo la scomparsa dello stratega finanziario della dinastia, del rapporto fiduciario tra l’azionista e il ceo di Atlantia.

La vedete qui sopra. Ci sono un giovane Castellucci e un più maturo Gilberto che discutono. Sguardi di intesa, fiducia, soprattutto quell’occhiata, del manager verso l’imprenditore. Si nota un rispetto inconsueto, raro a scorgersi sul manager di origine marchigiane. Noto per il suo dinamismo e la grande intelligenza, meno conosciuto per accessi di empatia.

Si dice che sia stato proprio Gilberto a chiedere all’ingegnere di Senigallia di occuparsi in prima persona della gestione del complicatissimo “dopo” di quel disgraziato 14 agosto. E così lui ha fatto. Si ricorda la giungla di telecamere e microfoni a Genova, quando andò a presentare con Cerchiai il piano da oltre mezzo miliardo a sostegno della città.

Arrestato l'ex top manager di Atlantia Giovanni Castellucci
La redazione


Castellucci è stato sostenuto dall’azionista Edizione fino a che non sono uscite le intercettazioni. È il settembre del 2019. Quelle parole imbarazzanti, faticose, una sassata sull’immagine dei Benetton. Il dubbio insinuato di funzionari che risparmiavano sulla sicurezza per innalzare i margini. La famiglia veneta, la sua storia, l’impianto etico del loro intendere l’impresa, l’architrave su cui avevano costruito un modello comunicativo non potevano sopportare tale onta.

«Hanno leso la nostra immagine» diceva all'epoca una persona vicina alla vicenda. E dunque, dopo lo «sgomento» e il «turbamento» la presa di distanza, lunare. La holding Edizione è chiarissima nel suo intendimento: «Prenderà senza esitazione e nell’immediato tutte le iniziative doverose e necessarie» a salvaguardia «della credibilità, reputazione e buon nome dei suoi azionisti».

E così dopo 13 mesi e tre giorni, un tempo lunghissimo secondo alcuni anche all’interno della famiglia stessa, Castellucci se ne va. Firma le sue dimissioni tredici mesi e tre giorni dopo la tragedia del Ponte Morandi. Se ne va sulla carta con una buona uscita di 13 milioni, da pagare in tre rate. Ma la vicenda giudiziaria va avanti e il pagamento si ferma al primo assegno.

Il sessantenne top manager originario di Senigallia è entrato in Aspi nel 2001 come direttore generale, nel 2005 diventa ad di Autostrade e nel 2006 arriva vertice di Atlantia con la creazione della holding infrastrutturale. Considerato uno dei fidatissimi uomini alla corte di Gilberto Benetton, è stato il demiurgo di Atlantia, l’uomo delle nozze con Abertis, il top manager riferimento degli investitori istituzionali, dalle fondazioni al fondo di Singapore, colui che ha portato Autostrade per l’Italia al vertice delle società autostradali in Europa. Ma dalla vetta si può solo scendere o cadere.

E Castellucci cade, è lui al vertice di Autostrade quando il 14 di agosto del 2018, collassa il Viadotto Polcevera seppellendo sotto le sue macerie 43 vite. Le responsabilità penali verranno accertate dalla giustizia, ma dalle responsabilità morali il manager non potrà sfuggire. Va da Gilberto Benetton con le dimissioni in mano, l’uomo dei numeri della dinasty le rifiuta, non può credere che uno dei suoi delfini possa aver gestito un gruppo di quelle dimensioni “risparmiando” sulle manutenzioni ed è convinto che la sua uscita sarebbe un’ammissione di colpevolezza.


Con l’evoluzione dell’inchiesta bis, gemmata dal troncone principale relativo al crollo del Ponte Morandi, emergono però dettagli inquietanti (i “report ammorbiditi”) sulla gestione della sicurezza della rete di Aspi. Gilberto Benetton nel frattempo muore, non leggerà mai quelle parole tremende che sporcano per sempre quello che è stato considerato, fino ad un certo punto, il capolavoro finanziario fatto con il capitale dei maglioni colorati.

Le intercettazioni mostrano infatti una realtà grave. Sotto accusa il comportamento di funzionari di Aspi e Spea, il braccio operativo delle manutenzioni, arrestati o raggiunti da misure interdittive per presunte falsificazioni sullo stato di due viadotti. Di fronte a queste notizie l’azionista Edizione deve marcare definitivamente la distanza con Castellucci. È il 17 settembre 2019 e il manager verga il suo addio.

L’11 di novembre 2020 arriva l’arresto originato dall’inchiesta parallela a quella del ponte Morandi, quella della falsificazione falsificazione della manutenzione di viadotti e tunnel con l’installazione di pannelli fonoassorbenti che non avevano le caratteristiche richieste e che per uno degli indagati erano stati “incollati con il vinavil”.

Nelle 105 pagine dell’ordinanza cautelare il gip di Genova, Paola Faggioni, sbriciola a scalpellate l’immagine del top manager definito uomo con “personalità spregiudicata e incurante del rispetto delle regole, ispirata a una logica strettamente commerciale e personalistica, anche a scapito della sicurezza collettiva”.

Un quadro desolante disegnato anche dalle intercettazioni. “Le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo meno facevamo … cosi distribuiamo più utili … e Gilberto e tutta la famiglia erano contenti“. A parlare, intercettato in una conversazione privata con il professore Emerito di economia Giorgio Brunetti è Gianni Mion, presidente di Edizione Holding. Mion e Brunetti, totalmente estranei alla vicenda, parlano del ruolo di Castellucci, del suo governo accentratore e di come ci sia stata ad un certo punto una riduzione progressiva degli investimenti in manutenzione a vantaggio degli utili. Sono parole rubate, estrapolate dal contesto e non dimostrano alcun nesso di causalità. Dimostrano invece la percezione di un'ampia delega di cui godeva il manager, dice Mion “Ti ricordi poi poi Castellucci allora diceva ‘facciamo noi’ e Gilberto eccitato perché lui lui guadagnava e suo fratello di più…“.

Un errore questo di un'eccesso di fiducia ammesso da Luciano Benetton in una lunga lettera in cui scrisse che la famiglia fu responsabile nell’aver “contribuito ad avallare la definizione di un management che si è dimostrato non idoneo, un management che ha avuto pieni poteri e la totale fiducia degli azionisti e di mio fratello Gilberto”.

Dopo il crollo del ponte Morandi, Castellucci è stato iscritto nel registro degli indagati, insieme ad altri dirigenti della società. Il 28 novembre è stato interrogato dai pm, le ipotesi di reato sono omicidio colposo plurimo aggravato dalla colpa cosciente, disastro colposo, omicidio stradale colposo e attentato alla sicurezza dei trasporti. Ma va sottolineato che da quella inchiesta nessun tipo di provvedimento è stato preso, l’arresto dell’ex ad di Atlantia parte appunto da un'inchiesta gemella. 



Certo è quel giovane manager che parlava con Gilberto Benetton si è perso, come la memoria di un’epoca che non esiste più.

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