Il sistema formativo confindustriale del Fvg apre le proprie porte agli esuli afgani

L’iniziativa di Confindustria Alto Adriatico coinvolge formazione professionale, Its, Polo tecnologico e la Lef, la fabbrica modello. Il presidente Michelangelo Agrusti: «Lavoriamo per un inserimento vero di queste persone»

Michelangelo Agrusti, presidente di Confindustria Alto Adriatico
Michelangelo Agrusti, presidente di Confindustria Alto Adriatico

PORDENONE. Il sistema formativo confindustriale apre le porte ai giovani esuli dell’Afghanistan.

«Parliamo dei centri di formazione professionale, degli Its, del Polo tecnologico e della Fabbrica modello, ovvero di tutti i luoghi in cui i ragazzi e le ragazze afgani possano apprendere nuove competenze o perfezionare quelle che già possiedono. Solo in questo modo le persone possono conquistare, oltre alla salvezza, anche la dignità che l’inserimento lavorativo assicura a ciascuno».

È l’impegno di Michelangelo Agrusti, presidente di Confindustria Alto Adriatico, già componente in passato delle commissioni Esteri e Difesa e per 5 anni componente del “parlamentino” della Nato, alla luce dell’approdo in Italia dei profughi in fuga dall’Afghanistan.

Persone alle quali dobbiamo accoglienza e non solo...

«Esattamente, io credo che, rispetto a questa situazione, anche Confindustria possa fare la propria parte per quel che riguarda l’accoglienza di coloro che sono arrivai in Italia dopo aver collaborato per 20 anni con il contingente italiano. Si tratta di persone, per lo più giovani, che già conoscono la nostra lingua, e questo rende meno complicato il loro inserimento nella comunità».

Si attende ancora di conoscere la quota di questi esuli che arriverà in Fvg.

«In quel momento Confindustria Alto Adriatico aprirà le porte di tutti i centri di formazione, da quella professionale agli Its, dal Polo tecnologico alla Lef, affinché queste persone possano consolidare le loro esperienze e costruirne di nuove, per poter conquistare, oltre alla salvezza, anche la dignità di persone che si inseriscono anche sotto l’aspetto lavorativo nel nostro sistema economico».

Lei le chiama “esuli”. Perchè?

«Credo che questo sia il termine più adatto per indicare persone che vivono dignitosamente in un Paese che non è il loro preparandosi però al ritorno in patria, quando l’Afghanistan diventerà quel Paese che in 20 anni loro hanno cercato di costruire. Ritengo quindi che non vada dimostrata loro una generica solidarietà ma vada offerta una chance concreta per un inserimento vero nella società di questo Paese e di questa Regione».

A proposito di Regione, ha condiviso questa proposta con l’amministrazione Fvg?

«Ne ho parlato proprio oggi (ieri per chi legge, ndr) con l’assessore alla Formazione Alessia Rosolen, e con il Prefetto di Pordenone, lo farò nei prossimi giorni anche con i rappresentanti del Governo di Trieste e Gorizia perché è evidente che è con loro che ci dovremo coordinare nel momento in cui quote di rifugiati verranno assegnate alla nostra regione».

Lei parla di coinvolgere un sistema formativo avanzato, magari servirà anche altro...

«Certamente, ma è intuibile che noi possiamo mettere a disposizione ciò che abbiamo, se ci sono esigenze diverse, penso alla scuola, sono le istituzioni pubbliche che si dovranno attivare. Ciò che vorrei fosse chiaro è che questo è un progetto concreto a cui stiamo già dando gambe, e non è solo una suggestione. Ci troviamo di fronte a uomini e donne che arrivano da un altro Paese ma che hanno collaborato a lungo con gli italiani, e che proprio per questo sono stati costretti a fuggire dall’Afghanistan, e ai quali dobbiamo qualcosa. Come Confindustria Alto Adriatico ci impegniamo a fare la nostra parte costruendo percorsi formativi sartoriali sulla base di capacità e attitudini dei singoli, tali da consentire il loro inserimento nel nostro sistema economico. Operazione vantaggiosa per loro, ma anche per noi». 

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