Acc di Mel in vendita, Nidec non partecipa alla gara
Il ceo di Nidec Global Appliance Valter Taranzano: «Avevamo elaborato un progetto industriale che non ha incontrato interesse». L’idea era quella di creare una fabbrica ex novo in cui concentrare le produzioni di motori per lavatrici, oggi appannaggio dello stabilimento della Sole a Pordenone, e dei compressori di Mel
PORDENONE. Nessuna offerta da Nidec Global Appliance per Acc. La company, che ha il proprio headquarter europeo a Pordenone, dopo aver studiato il dossier ha deciso di uscire dalla partita. Per cui il 5 ottobre, a chiusura del bando per il salvataggio dello stabilimento di Mel, tra le offerte non ci sarà quella a firma del ceo Valter Taranzano.
Perché?
«Perché dopo una attena analisi della due diligence non ci sono i presupposti per aggiungere valore al nostro Gruppo. Considerando l’acquisizione stand alone».
Ovvero non ci sono queste condizioni acquisendo lo stabilimento di Mel così com’è?
«Esattamente. Premesso che mantenere queste produzioni in Italia, ovvero un Paese ad alto costo del lavoro, è sempre più difficile, e non mi riferisco solo ai compressori di Mel, ma in generale, abbiamo cercato di fare un ragionamento più ampio».
Che ragionamento?
«Il Gruppo ha uno stabilimento a Pordenone, con un prodotto diverso, i motori per l’elettrodomestico, ma sempre di componentistica parliamo, caratterizzato da una produzione fortemente condizionata dalla stagionalità, in un settore che richiede costanti e importanti investimenti in ricerca e sviluppo, quindi l’idea era: perché non proviamo a concentrare le due produzioni in un nuovo sito, possibilmente equidistante tra Pordenone e Mel?».
Con quali vantaggi?
«Un’operazione di questa natura, nel disegno che avevamo immaginato, ci avrebbe consentito di tenere insieme le due produzioni, motori e compressori, che hanno stagionalità diverse, di creare un sito da circa 500 posti di lavoro, realizzando delle significative efficienze sui costi fissi. Si trattava quindi di un progetto difficile dal punto di vista industriale, ma con una prospettiva più ampia di quella che assicurerebbe il mantenimento di due stabilimenti, garantendo sostenibilità nel lungo termine».
In passato lei aveva dichiarato interesse per Mel. E’ a questo che pensava?
«Sì, era esattamente questo».
Oggi questo interesse è venuto meno, ma la ragione qual è? A chi non piace questa soluzione?
«Come ho già detto, era un’idea difficile. Il fatto poi che si tratti di un’operazione interregionale è un’ulteriore difficoltà, tutta italiana, che si è sommata. Abbiamo avviato un’esplorazione informale per capire se c’era interesse al progetto e non l’abbiamo trovato».
Niente aiuti mi par di capire...
«Iniziative di questo genere hanno bisogno di un aiuto. Quando abbiamo riacquisito Secop in Austria abbiamo ricevuto supporto sia dalle Regioni che dal Governo austriaco, c’è stata una grande collaborazione tra istituzioni e privati per far ripartire al meglio possibile gli stabilimenti. Il nostro auspicio era quello di trovare una volontà simile anche qui, del resto proponevamo di dare vita ad un progetto industriale che aveva l’ambizione di garantire prospettive di lungo periodo alle produzioni italiane. Probabilmente il valore di questo progetto non è stato percepito fino in fondo».
Ma a che genere di agevolazioni pensava?
«Ad esempio sui trasporti dei lavoratori. Immaginando una sede a metà strada tra Pordenone e Mel, ad esempio Vittorio Veneto, e ai disagi per i lavoratori, un intervento su questo aspetto sarebbe stato utile. Un altro poteva essere la ricerca di una sede, o agevolazioni sulla locazione».
Per il Fvg perdere la Nidec Sole Motors sarebbe stata una perdita secca, però.
«No, Nga avrebbe mantenuto il proprio quartier generale a Pordenone, e quindi avrebbe continuato a pagare le tasse in Fvg».
Crede che ci sarà grande competizione per rilevare Acc?
«Spero di sì. Per ragioni affettive mi auguro ci siano più offerte per Mel».
Lei chi immagina?
«Io credo che un’operazione di salvataggio possa essere legata all’interesse, da parte di qualcuno che già fa questo mestiere, ad acquistarla. Non ce ne sono molti. A parte noi riesco a pensare a qualche gruppo cinese o a Secop».
Magari si preferirebbe una compagnia europea...
«Beh, noi siamo europei».
E il progetto Italcomp?
«Ho letto che se ne riparla. La mia convinzione industriale non è cambiata: non c’è spazio nel mercato per un’operazione del genere in Italia. Dopodiché sarebbe lodevole un’operazione di salvataggio pubblico dei lavoratori, ma non sarebbe un’operazione industriale».
Ma con gli effetti secondari della pandemia, i problemi con le forniture e la logistica, non avrebbe senso ricostituire una filiera italiana di fornitura, un polo nazionale, o europeo, della componentistica? Per l'elettrodomestico, ma non solo?
«Questo ha un senso, e lo stiamo facendo anche noi perché non possiamo più considerare la Cina come la fabbrica del mondo, cosa che peraltro io non ho mai fatto. I nostri clienti sono sempre di più orientati ad avere un doppio canale di fornitura: dalla Cina e locale, nell’area in cui operano. Noi abbiamo due stabilimenti di compressori in Europa, uno in Slovacchia e uno in Austria. Anche Secop ha fabbriche in Europa. Lo spazio per un nuovo competitor che aumenti la capacità di offerta in un mercato che non la chiede, secondo me non c’è».
Voi state facendo reshoring?
«Si. Alcuni compressori che producevamo solo in Cina oggi li produciamo sia in Cina che in Austria per mitigare il rischio e produrre laddove è più conveniente non solo dal punto di vista del costo, ma anche della logistica».
Tornando a Italcomp?
«Vale quel che ho detto: di nuovi spazi non ne vedo, e per essere competitivi in questo settore capital intensive, occorre una disponibilità importante di risorse da destinare a ricerca e sviluppo per lanciare sul mercato piattaforme innovative e ben recepite. Non è sufficiente avere un compressore più conveniente al mondo e proporlo ad un prezzo molto basso: non è quel che chiede il mercato e non giova al conto economico».
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