«Aermec sceglie gli Usa è colpa del Green Deal»
L’industriale Alessandro Riello: «Bruxelles ha un approccio radicale rischioso per l’occupazione»

Per Aermec, campione nazionale nel condizionamento e nel trattamento dell’aria, è il momento delle scelte. L’azienda veronese presieduta da Alessandro Riello medita di costruire uno stabilimento negli Stati Uniti spinta da una duplice necessità strategica: sì, certo, per aggirare l’ostacolo dei dazi sventolati dal neo presidente Donald Trump come nuova bandiera neoprotezionista; ma soprattutto per sfuggire all’imminente stretta dell’Unione europea in materia di politiche green che, dice Riello, «rischia di creare danni enormi causandoci una perdita di un terzo del nostro fatturato».
Sta di fatto che l’azienda di Bevilacqua, finora sempre fedele al credo di mantenere in Italia e in particolare nel Veneto la sua capacità produttiva, focalizzata in particolare su medi e grandi impianti per hotel, ospedali, data center e centri direzionali, sta riflettendo sulla possibilità di aprire un insediamento produttivo oltreoceano: «Parliamo – spiega Riello – di un investimento da 20-25 milioni che ci consentirebbe di affrontare sia il problema dei dazi sia quello dell’approccio radicale da parte della Ue alle esigenze di salvaguardia dell’ambiente».
L’apertura di una fabbrica negli Stati Uniti non è un passo, ancora eventuale, che arriverebbe all’improvviso. Negli ultimi quindici anni Aermec ha via via aperto filiali di distribuzione in Europa e infine, all’inizio del 2024, filiali dirette anche negli Stati Uniti e in Canada: qui Aermec Nord America, sede a New York, controlla Aermec Usa e Aermec Canada a Toronto.
«Negli Stati Uniti – spiega Riello – fatturiamo 25 milioni e l’intento è arrivare a 60-70 entro quattro o cinque anni». Nel complesso si tratta di ramificazioni commerciali che nel tempo hanno rafforzato le vendite in Francia, Germania, Polonia Regno Unito, Centro e Sud America. Fino all’inizio del dicembre scorso, quando l’impresa veronese ha finalizzato una grossa operazione in Spagna, dove sono state acquisite Airlan e Airlane Industrial, sede principale a Bilbao, ricavi 2024 a 65 milioni di euro con 120 dipendenti fra produzione e distribuzione.
Questa crescita internazionale di lungo termine si è tradotta per Aermec in un raddoppio dei ricavi dai 168 milioni del 2016 ai 370 milioni del 2024 (Ebitda Margin del 14%), esercizio che a propria volta segna una crescita dai 359 milioni del 2023 (Ebitda Margin dell’11,6%).
Da evidenziare che il Giordano Riello International Group, che controlla Aermec, è un gruppo familiare che nel 2024 ha raggiunto i 600 milioni di ricavi (dai 560 del 2023) con 2100 dipendenti: comprende aziende come la Fast di Montagnana (condizionamento), la Sierra di Isola della Scala (scambiatori di calore) e la Rpm di Badia Polesine (motori elettrici).
«Siamo cresciuti con una forte attenzione al nostro territorio – spiega Riello – quest’anno ad esempio come Aermec prevediamo 15,5 milioni di investimenti dopo i 24 milioni del 2024». Insomma gli ultimi anni per i figli di Giordano Riello, il fondatore del gruppo mancato nel maggio 2023, non sono stati avari di soddisfazioni. Ora però lo scenario si fa complesso. Ciò che preoccupa di più i vertici aziendali – accanto al presidente Alessandro Riello, c’è la sorella Raffaella che è vicepresidente – è il giro di vite ambientalista imposto al settore dalla direttiva europea che entrerà in vigore già nel 2027.
«In sostanza – dice l’imprenditore – si tratta di sostituire i gas attualmente utilizzati con un gas naturale come è il propano, questo per ridurre l’impatto ambientale degli impianti. Una mossa pericolosa e discriminatoria perché nella formulazione attuale imporrebbe non solo di prevedere questo adeguamento per le vendite in Europa, e questo ci può anche stare perché la svolta riguarderebbe anche i nostri concorrenti, ma anche per le esportazioni nei Paesi extra europei. Sarebbe un disastro, che creerebbe anche forti danni in termini occupazionali».
Insomma il tema della decarbonizzazione, declinato come Green Deal europeo, rischia di creare contraccolpi non solo nel campo dell’automotive, per il quale l’adeguamento ai nuovi standard ambientali è ampiamente dibattuto.
Ci sono anche l’elettrodomestico bianco (i frigoriferi, in particolare) e appunto il condizionamento dell’aria. «Nessuno discute – dice Riello – che la decarbonizzazione e la sostenibilità siamo obiettivi da perseguire, e infatti sono temi ampiamente interiorizzati da ciascuno di noi, però tutto ciò va gestito con tempi e modi compatibili con l’esistente. Se questi sono tempi e modi dell’Unione europea, Dio ci scampi. Gli altri non si comportano così». C’è fra l’altro anche un tema di riconversione tecnologica che non è istantanea: «Adeguare i sistemi – spiega l’industriale veronese – richiede tempi lunghi per la riprogettazione, e sarà molto difficile compensare con le vendite in Europa quello che perderemo in giro per il mondo».
Attualmente il mercato del condizionamento è dominato dalle multinazionali. Dalla statunitense Carrier alle giapponesi Mitsubishi e Daikin, dalla canadese Midea alla svedese Nibe, i colossi si contendono un mercato in cui i produttori italiani sono diventati principalmente tre: Aermec, appunto, i bolognesi della Galletti e i bresciani della Olimpia Splendid. «Per le multinazionali – paventa Alessandro Riello – sarà facile adeguarsi alle nuove direttive per quanto riguarda l’Europa, mentre nei mercati extraeuropei non avranno vincoli da rispettare, e questo è un grande pericolo anche per parti importanti del nostro sistema industriale, che si troveranno a competere con armi impari».
Ecco allora, resa ancora più urgente dall’incombere dei dazi di Trump, la riflessione su un insediamento produttivo negli Stati Uniti. «La taglia dell’investimento è chiara – dice Riello – siamo appunto nell’ordine dei 20-25 milioni. Dove? Stiamo ragionando, negli Usa diversi Stati prevedono incentivi per gli investimenti produttivi, si tratta di ponderare e scegliere». Una svolta che la famiglia Riello prenderebbe a malincuore: «Abbiamo un debito di riconoscenza verso il territorio – conclude il presidente della Aermec – se lasciassimo l’Europa lo faremmo perché costretti. E sarebbe una follia». —
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