Affitti e turismo, Airbnb apre alla limitazioni «Sì a misure per le zone a rischio di Venezia»

Giacomo Trovato, ad della piattaforma in Italia, promuove il modello Veneto ma chiede tutele per i piccoli proprietari.

«Servono interventi ad hoc per i quartieri sotto pressione. Per aiutare gli studenti si usino i fondi della tassa di soggiorno»

Giorgio Barbieri
Giacomo Trovato, amministratore delegato di Airbnb Italia e turisti a Venezia
Giacomo Trovato, amministratore delegato di Airbnb Italia e turisti a Venezia

I centri storici si svuotano, gli affitti si impennano, gli studenti dormono in tenda. Ormai è chiamato “effetto Airbnb”, dal nome della piattaforma americana che mette in contatto persone in cerca di un alloggio per un breve periodo con persone che dispongono di uno spazio da affittare. Un fenomeno sul quale il governo ha promesso di intervenire a breve. «Stiamo dialogando con il ministro Santanché mettendo a disposizione la nostra conoscenza del settore, con l’obiettivo di garantire il giusto equilibrio tra i diversi interessi nel Paese», spiega Giacomo Trovato, responsabile di Airbnb in Italia e nel sud-est Europa.

Cosa avete chiesto?

«Prima di tutto che venga riconosciuta la valenza dell’hosting sia per viaggiatori che per i proprietari. Il turismo per l’Italia vale il 13% del Pil, e nel Nordest ancora di più, e di conseguenza deve mettere a disposizione sia l’ospitalità tradizionale che quella in casa. Abbiamo poi chiesto che vengano tutelati i proprietari di casa: in un nostro sondaggio è emerso che il 50% di loro utilizza gli affitti per far quadrare i conti in un periodo in cui le spese continuano a crescere».

Il tema però è che gli affitti brevi stanno scalzando quelli a lungo termine.

«Ma vanno comprese le ragioni di questo fenomeno. Sempre da un nostro sondaggio sono emersi tre motivi specifici: il primo è che la casa viene vissuta dal proprietario che vuole semplicemente affittarla nei periodi in cui non la utilizza, il secondo è che il proprietario vuole comunque averla nella sua disponibilità in previsione di darla al figlio e il terzo è che molti sono rimasti scottati dai contratti a lungo termine per casi di morosità, danneggiamenti e difficoltà a rientrare nel pieno possesso del bene».

Quali sono state le vostre proposte?

«Sono essenzialmente tre basate su legalità e trasparenza, condivisione dei dati e specifiche limitazioni. Abbiamo proposto che il modello Veneto venga allargato in tutta Italia: è necessario rendere obbligatorio un codice nazionale di registrazione in modo che in tutta Italia ci sia la garanzia che la casa possiede i requisiti di legge. La condivisione dei dati con le amministrazioni pubbliche ha l’obiettivo anche di inquadrare il fenomeno: chi fa affitto breve? La famiglia o i grandi investitori immobiliari? E in base a questo trovare le possibili soluzioni».

E veniamo alle limitazioni. Cosa ne pensa?

«Prima di tutto che le limitazioni alla proprietà privata debbano essere l’eccezione e non la regola. Ma crediamo sia giusto intervenire se effettivamente c’è emergenza abitativa in quartieri dove l’incidenza degli affitti brevi è eccessiva. Ma facciamolo su base numerica. In Italia l’1% delle case è su Airbnb. A Verona quelli che hanno affittato per un minimo di trenta giorni rappresentano lo 0,6% del totale delle case a Verona. Se guardo i dati non vedo emergenza».

Il tema infatti è soprattutto quello dello spopolamento dei centri storici. Venezia ne è il simbolo.

«Se in un quartiere di Venezia ci sono troppi affitti brevi è giusto intervenire, ma facciamolo chirurgicamente. E distinguiamo la piccola proprietà privata, che va tutelata sempre anche dove c’è emergenza. Le limitazioni applichiamole agli investitori immobiliari. Anche se, va detto, le grandi società ristrutturano palazzi in pessime condizioni a beneficio del decoro urbano».

Nel luglio scorso il Parlamento ha approvato il cosiddetto “emendamento Venezia” che dà al sindaco i poteri per mettere limitazioni. Qual è la sua opinione?

«Credo che quella norma incorpori i nostri principi. Dà la possibilità di limitare gli affitti brevi in alcune zone della città e stabilisce che vengano tutelati i piccoli proprietari e coloro che utilizzano l’affitto per integrare il reddito. Molti host di Venezia ci dicono che l’affitto della seconda casa li aiuta a continuare a risiedere nel centro storico. Nel 2022 l’host tipico ha guadagnato poco meno di un quinto del suo reddito grazie alla piattaforma, mentre quest’anno il Codacons ha stimato in 2.400 euro le spese extra. È la prova che questi sono introiti preziosi che non vanno eliminati. E in più il 64% ci ha detto di aver utilizzato gli incassi per riqualificare l’immobile».

Gli affitti brevi vengono tirati in ballo anche per la protesta degli studenti. Vede un nesso tra le due cose?

«Gli studenti sono una residenzialità specifica. Il problema è più ampio e più specifico. Credo che la loro aspettativa sia quella di avere affitti a prezzi sussidiati. Indipendentemente da lungo o breve termine, il libero mercato non può arrivare alla soluzione. Non si può chiedere a un proprietario di affittare sottocosto. Il tema quindi è: dove recuperare le risorse per questa finalità?».

E cosa risponde?

«Ad esempio dal turismo. Per il 2023 si stima di raccogliere 680 milioni di euro di gettito dalla tassa di soggiorno. Per Firenze saranno attorno ai 50 milioni, Venezia poco meno. Il turismo allora diventi la fonte per alimentare finalità sociali: promuovere l’artigianato locale, la residenzialità e trovare gli alloggi per gli studenti».

La pandemia ha inevitabilmente rivoluzionato l’offerta turistica. Quali trend avete individuato?

«Da un lato la diversificazione di flussi verso località meno battute. Nel primo trimestre del 2023 le grandi città rappresentano il 48% delle notti su Airbnb, però nello stesso periodo del 2019 era il 58%. I flussi si sono spostati verso zone rurali e piccole cittadine. Un trend e un’opportunità che registriamo anche a Nordest, soprattutto per l’aumento dello smart working».

In questi giorni il ministro Urso ha detto di voler rimettere in moto le norme per favorire i nomadi digitali. Quali possono essere le opportunità per i nostri territori?

«Le Regioni possono avere un ruolo di catalizzatori per questi flussi. In Italia abbiamo selezionato il Friuli-Venezia Giulia che ha introdotto benefici per i lavoratori da remoto creando spazi di coworking, sconti sui trasporti, offrendo condizioni agevolate per le attrazioni turistiche. In questo modo si è qualificata come possibile meta per i nomadi digitali. È una grande opportunità per i territori. Una recente ricerca del Politecnico di Torino ha misurato l’impatto della presenza di Airbnb sul Pil di un piccolo borgo: in quattro anni è cresciuto del 23% stimolando le attività ancillari come i luoghi di cultura, l’edilizia e i ristoranti».

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