Alessandro Vescovini, presidente Sbe-Varvit: «Metteremo una nave gasiera in Alto Adriatico»
Diventa “fai da te” l’energia a Nordest. A Monfalcone un progetto per portare direttamente Lng nelle aziende
MONFALCONE. E’ alla periferia di Monfalcone la fabbrica di Alessandro Vescovini che produce 4,5 milioni di bulloni al giorno per un business di 308 milioni di euro, un margine operativo del 26% e zero debiti. Oggi è più spumeggiante del solito il presidente della Sbe-Varvit che ha poco di mitteleruropeo e parecchie caratteristiche reggiane, sua terra di origine, come tradisce l’accento, nonostante sia stato trapiantato fin dal 1994 in terra giuliana.
Dottor Vescovini, il suo telefono non smette di squillare. Le buone notizie si diffondano in fretta. Come è nata l’idea sull’energia fai da te per il Nord Est?
«Guardi noi siamo presenti in tutto il mondo, dagli Stai Uniti alla Serbia. Forniamo, con 14mila referenze, più di 5mila clienti in 70 Paesi del mondo tra cui tutti i principali Oem del settore automobilistico, delle macchine movimento terra e industriali. Ecco perché non possiamo permetterci di rimanere senza energia. Sarebbe un vero e proprio disastro. Perderemmo i nostri clienti, con tutte le conseguenze del caso. Inoltre noi utilizziamo una tecnica produttiva che prevede i trattamenti termini alla fine del ciclo. Noi lavoriamo già su tre turni per cinque giorni la settimana, ma la parte “a caldo” dell’azienda resta in funzione anche durante i week end. E’ un po’ come nella siderurgia, se spegniamo gli impianti siamo fritti».
Lei non è nuovo a iniziative del genere. Già parecchi anni fa, nel 2015, aveva tentato di fare dei rigassificatori costieri, ma la scommessa non era andata in porto. Come mai?
«Subito dopo l’annessione forzosa della Crimea da parte di Putin, avevamo capito che avere un solo fornitore di gas era molto pericoloso. Ma non mi faccia tornare su quella vicenda. Vorrei guardare avanti. Allora tutto si arenò soprattutto per questioni burocratiche e per cavilli da azzeccagarbugli. Ci dissero ad esempio da Roma che non avevano elementi sufficienti per poterci dare un parere positivo. Comunque noi siamo andati avanti lo stesso. E’ da marzo che stiamo lavorando al nuovo progetto».
Lei teme che possa emergere una “sindrome Livorno”, con tutti che vogliono gli indispensabili rigassificatori, ma con la sindrome Nimby, “Not in my backyard”?
«I cittadini di Monfalcone vivono accanto a una centrale elettrica alimentata a carbone, quindi credo proprio che non avranno problemi di nessun tipo».
Che tempi avete?
«Entro 90 giorni il ministero ci deve confermare la cosiddetta “assoggettabilità”, ossia che non serve la Via. Poi faremo il business plan. Entro un massimo di 18 mesi saremo pronti a investire 220 milioni di euro».
Perché non serve la Valutazione di impatto ambientale?
«Perché non disturbiamo nessuno. Non solo siamo neutri sotto tutti i punti di vista, ma diamo un contributo ecologico positivo. Infatti i mini-rigassificatori aziendali delle imprese energivore (siderurgia, vetro, ecc.) vengono in parte alimentati dalle acque calde che avanziamo come residuo del nostro ciclo produttivo perché siamo obbligati a “raffreddare” i nostri prodotti alla fine del trattamento per poterli rendere più resistenti».
Come sarà la governante del nuovo business?
«Finora abbiamo lavorato ancora come Smart gas. Ci sarà però una classica società veicolo, Lng logistic, dove il fornitore straniero d’oltreoceano di gas avrà una partecipazione importante. Poi Vescovini group Spa, Molino Casillo e altre aziende con le quali stiamo già lavorando…».
L’intervista viene interrotta dall’ennesima telefonata urgente e non facciamo nemmeno in tempo a salutarci. Magari qualcos’altro bolle nella pentola di un imprenditore schumpeteriano come Vescovini con una forte carica di “distruzione creativa”.
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